Otto marzo: un terribile ricordo per riflettere sul senso della festa della donna
Correvano gli anni Settanta. A Cassano Jonio vi fu un caso eclatante di femminicidio: una ragazza fu violentata da un branco di uomini sordo alle sue suppliche e alle sue lacrime.
Prima l’uno, poi l’altro: doveva essere una punizione esemplare per quella ragazza, la quale, forse, “sapeva troppo”.
Echi di paese “mormoravano” infatti che era stata testimone d’un delitto.
Le strapparono pure la lingua perché non parlasse e poi la scaraventarono, ancora viva e sanguinante, giù dalla Pietra del Castello, la rupe che sovrasta Cassano.
La donna non morì subito: restò per giorni agonizzante in un letto d’ospedale e, anche se non riusciva a parlare, con mani malferme scrisse con un inchiostro colorato di sangue i nomi dei suoi aguzzini, dei suoi assassini.
Morì in quel letto anonimo, con gli occhi ancora spalancati dal terrore. Occhi senza più lacrime che da quel giorno non videro più l’alba d’un nuovo giorno.
Nella giornata dedicata alla donna vogliamo ricordare una piccola donna, eroina d’una società che da un lato ne esalta il ruolo e dall’altro la rende fragile vittima. Bersaglio degli stereotipi e dei pregiudizi della differenza di genere su cui sfogare i lati oscuri dell’animo maschile.
Su questo, e tanto altro, la festa dell’otto marzo deve far riflettere per avere sempre maggiore rispetto verso le differenze di genere e verso tutte le altre differenze umane.