Anche Legambiente si schiera ufficialmente contro il tracciato della nuova S.S. 106. Così, mentre la “strada della morte” continua ad essere funestata da incidenti stradali, l’ultimo quello avvenuto la sera di Pasqua nel Reggino conclusosi con un bottino di tre feriti gravi, anche i vertici nazionali di Legambiente si schierano apertamente contro la progettazione definitiva del 3° Megalotto Sibari-Roseto e chiedono al ministero dell’Ambiente di riesaminare il progetto e di ritirare all’Anas la VIA (valutazione di impatto ambientale). La qual cosa, com’è naturale, farebbe slittare “sine die” i tempi di realizzazione dell’opera. A chiedere la moratoria sull’avvio dei lavori è stato l’on. Ermete Realacci del PD presidente onorario di Legambiente il quale ha presentato in Parlamento un’interrogazione a risposta scritta con la quale sottolinea la sostanziale variazione del progetto definitivo rispetto a quello preliminare, evidenzia la gravità dell’impatto ambientale sui terrazzi marini che sarebbero sfregiati in modo irreversibile dal tracciato stradale e chiede al Ministero Orlando di bloccare l’iter procedurale giunto ad una fase già molto avanzata. Insomma, da una parte ci sono i disoccupati dell’Alto Jonio che aspettano l’apertura dei cantieri come la manna nel deserto e coscienze critiche, come quella di Fabio Pugliese autore del libro-denuncia “Chi è Stato?”, che si batte da anni contro i ritardi dell’adeguamento della “strada della morte” e di recente, dopo aver chiamato in causa il Capo dello Stato, ha invocato l’intervento della Magistratura come “extrema ratio”, dall’altra c’è chi invece si batte perché l’inizio dei lavori venga procrastinato nel tempo. Ragioni che sembrano inconciliabili e che rischiano di creare tensioni sociali e acuire la contrapposizione tra le parti. Si tratta infatti, anche in questo caso, di ragioni sacrosante che mirano alla difesa dell’ambiente e di quel poco di “polpa” di territorio sopravvissuto alle numerose cicatrici inferte da altre infrastrutture presenti in questa lingua di terra dell’Alto Jonio. Tocca dunque all’Anas fare sintesi delle due posizioni e venire incontro, attraverso una saggia opera di mediazione, alle opposte esigenze correggendo, ove possibile, l’impostazione progettuale per cercare di realizzare l’opera nei tempi previsti e allo stesso tempo di impattare il meno possibile su un territorio cagionevole dal punto di vista orografico e su un’economia altrettanto fragile sul piano economico e sociale. Per la verità pare che l’Anas si sia resa disponibile a venire incontro sia ai privati che ai comuni modificando sostanzialmente il progetto. C’è dunque da prenderne atto, da una parte e dall’altra, evitando di fare le barricate e di ingaggiare guerre di religione che non portano da nessuna parte e producono solo macerie in un territorio già di per sè abbastanza sfortunato e martoriato.
Pino La Rocca