Interdetta l’impresa appaltatrice della messa in sicurezza del Crati. Sul da farsi dovrà decidere il commissario nazionale anticorruzione Raffaele Cantone
“Effetto antimafia” sui lavori di messa in sicurezza del fiume Crati, che nel corso dell’alluvione del 18 gennaio 2013 esondò nei pressi della sua foce sommergendo, con tonnellate di fango e detriti, il Parco archeologico nazionale di Sibari, il più importante della Magna Grecia. Dallo scorso mese di luglio i lavori sono infatti fermi. Bloccati a causa di un’interdittiva antimafia.
Lavori di messa in sicurezza che erano già a buon punto, ma che si sono dovuti arrestare a seguito d’un provvedimento emesso dalla Prefettura di Messina nei confronti dell’impresa appaltatrice “Ca.Ti.Fra.” di Barcellona Pozzo di Gotto.
Già, perchè i suoi titolari sono sospettati di pericolose collusioni con la mafia. C’è, comunque, l’impegno, da parte delle istituzioni preposte, di correre ai ripari. Ciò al fine d’evitare il rischio di nuove esondazioni considerato l’autunno già alle porte. La Prefettura messinese avrebbe infatti già consultato l’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone. E i lavori potrebbero ripartire. Come? Sotto il “presidio” d’un commissario o d’un amministratore straordinario. Ma solo e soltanto per concludere le opere assolutamente necessarie ad evitare nuove eventuali e letali inondazioni dell’importantissimo sito archeologico. Sì, perché quello di due anni e mezzo fa fu un vero e proprio disastro. Coi lavori di messa in sicurezza degli argini del Crati che erano previsti già da diversi anni e non erano mai stati realizzati. Il classico “disastro annunciato”, a causa del drammatico dissesto idrogeologico che interessa la Calabria in lungo e in largo. Ci sono voluti quasi due anni per affidare i lavori di messa in sicurezza del fiume Crati, nell’ottobre 2014. Una serie d’opere per un importo di circa quattro milioni d’euro, finalizzate a rafforzare le arginature attraverso delle speciali “reti”.
Nel corso dell’alluvione del gennaio 2013 gli argini avevano infatti ceduto sia perché malcostruiti e realizzati con materiali assai scadenti, sia perché su di essi non v’era stata alcuna opera di manutenzione per circa mezzo secolo. Non solo. Già, perché le istituzioni preposte ai controlli avevano persino tollerato che gli stessi argini e le aree naturali d’esondazione venissero negli anni occupati illegalmente da decine e decine di coltivatori d’agrumeti, questi ultimi divenuti man mano grandi e rigogliosissimi.
Circa un anno fa cominciarono i lavori di messa in sicurezza affidati all’impresa siciliana. Che è stata già pagata per i primi due stati d’avanzamento. Lavori che dovevano terminare ed essere consegnati proprio nella giornata di ieri, 15 settembre. Ma il 28 luglio la Prefettura di Messina ha emesso l’interdittiva antimafia nei confronti dei titolari dell’impresa stessa. Un provvedimento maturato a seguito di diverse inchieste da parte della magistratura antimafia. Nelle cui maglie la “Ca.Ti.Fra.”, pur non risultando indagati i suoi titolari, è rimasta impigliata poiché più volte citata. Così, il 29 luglio è stato notificato all’impresa il provvedimento interdittivo con l’intimazione di sospendere i lavori. Cosa avvenuta il 30, dopo alcuni interventi per la messa in sicurezza dei cantieri aperti. E da un mese e mezzo è tutto fermo. Una paurosa “grana” per il Parco archeologico nazionale di Sibari. Nessuno infatti può dare “certezza” che nel caso d’un altro evento climatico estremo – come quello che lo scorso 12 agosto ha colpito il confinante comune di Corigliano Calabro e soprattutto l’altro comune vicino, Rossano – lo stato attuale degli argini possa reggere. Perciò “si lavora” al fine di trovare un’opportuna soluzione. E la “via maestra” pare l’abbia indicata proprio l’Anac guidata da Cantone. È quella già intrapresa per gli appalti dell’Expo di Milano e per i servizi forniti dalle cooperative di Salvatore Buzzi e del gruppo “La Cascina”. È l’applicazione estensiva dell’articolo 9 del decreto cosiddetto “Sblocca Italia”, che prevede di poter completare i lavori di somma urgenza anche dopo l’intervento della magistratura. E lo si fa nominando un commissario oppure un amministratore straordinario, ma solo e soltanto per il completamento dei lavori. Per Sibari servirebbero altri due mesi. Ma una volta completate le opere attualmene bloccate non si potrà affermare d’avere per davvero “messo in sicurezza” il fiume Crati, perché bisognerebbe intervenire pure a monte – e sarebbero necessari altri quattro milioni d’euro – e alla sua foce, appena poche centinaia di metri dopo il Parco archeologico in quella sua splendida area naturale protetta – è un sito d’interesse comunitario – che continua ad abbancare sabbia che ostacola lo sbocco al mare del fiume. Sarebbero necessari interventi di manutenzione, non infrastrutture, ma paradossalmente vi sono dei vincoli paesaggistici che li impedirebbero. Rischiando così di rendere vane le stesse opere di messa in sicurezza, mafia o non mafia…