Il post-alluvione di Corigliano Calabro. Percorrendo la città in lungo e in largo, le immagini dei danni – enormi – sono eloquenti. Muri di cinta crollati come biscotti inzuppati nel latte. Ma è fango: fango e detriti dappertutto. Dalla frazione Scalo a quella marina di Schiavonea, entrambe popolosissime. Mezzi e uomini del Comune “rarefatti” negl’interventi. Regna quasi esclusivamente la buona volontà di numerosi liberi cittadini, da sei giorni impegnati in interventi difficili, oltre che faticosi. In contrada Fabrizio, sul prolungamento del lungomare, il ponte sul torrente Gennarito, eretto soltanto una decina d’anni fa, ha ceduto strutturalmente. Ora lo “spezza” in due il lungomare.
Che fosse un mostro ecologico vantato all’epoca come “efficace opera pubblica” lo avevamo scritto tante volte. E nella mattinata di mercoledì scorso la natura ne ha scritto la dimostrazione empirica.
Dalla marina di nuovo allo Scalo – nel suo “cuore” – dove sotto la sempiterna costruenda Piazza Giovanni Paolo II, nei suoi parcheggi interrati, ora insistono migliaia di metri cubi d’acqua e fango.
E poi le voragini, enormi, createsi lungo tante strade, chiuse al traffico veicolare nell’immediatezza dell’alluvione e frettolosamente riaperte. Voragini a malapena circoscritte e che potrebbero allargarsi durante il passaggio d’un qualsiasi mezzo facendolo precipitare nel vuoto.
Nelle ultime ore si sta aggravando la situazione d’estremo pericolo in Via Lucarini, nella contrada Ralla dello Scalo. Lì hanno ceduto dei muri di contenimento prospicienti alcune abitazioni che rischiano d’essere travolte dalla possibile frana della collina sovrastante. «Dal Comune non s’è visto ancora nessuno», denunciavano nel primo pomeriggio di ieri, mentre pioveva, i residenti da giorni allarmatissimi. Situazioni d’allarme che a Corigliano Calabro sono tante e tali in queste ore che preoccupano non poco…