I responsabili nazionali di Legambiente chiedono ai magistrati inquirenti il sequestro finalizzato alla demolizione delle costruzioni sul Coriglianeto
Un corposo e dettagliato esposto-denuncia presentato alla Procura di Castrovillari. Reca la firma dei responsabili nazionali di Legambiente e riguarda le costruzioni abusive realizzate nel comune di Corigliano Calabro negli anni Duemila ed ubicate a ridosso degli argini del torrente Coriglianeto, in particolare a ridosso degli argini prossimi alla sua foce, tra la popolosa frazione marina di Schiavonea e la contrada marina di Fabrizio.
Alla Procura competente per territorio e sulla scorta del dossier “Effetto bomba” presentato l’altro ieri, i responsabili nazionali di Legambiente richiedono «gli opportuni interventi giudiziari finalizzati alla demolizione ed alla delocalizzazione delle attività abitative e d’altro genere, considerata l’enorme pericolosità ed estensione della zona interessata dai fenomeni alluvionali, adottando misure cautelari e – ove ritenuto – il sequestro delle strutture in aree a rischio “R3” ed “R4”, in quanto sussiste il concreto pericolo per la pubblica e privata incolumità derivante da possibili ulteriori eventi alluvionali».
Nel rapporto-dossier Legambiente “traccia” la grave storia alla base dello scottante argomento. «Il tratto di foce del torrente Coriglianeto, che scorre nel Comune di Corigliano Calabro, rappresenta proprio l’area a maggior rischio idraulico nella zona e, nonostante tutto, rappresenta anche l’area dove più massicciamente si è sviluppata l’urbanizzazione negli ultimi anni, come risulta da un esposto presentato da Legambiente, Wwf e Libera nel febbraio 2013. Queste zone di pertinenza fluviale sono state classificate dal “Piano di assetto idrogeologico” (Pai) della Regione Calabria come zone a “rischio idrogeologico “R3” ed “R4” (ovvero rischio alto e rischio molto alto). In queste aree l’edificazione è vietata per legge ma, nonostante il Pai sia entrato in vigore nel lontano 2001, si è continuato a costruire edifici. Disagi e fenomeni di allagamenti a seguito di normali eventi piovosi di consistenza ordinaria sono oramai diventati consuetudine per gli abitanti della zona, vista anche la totale mancanza di funzionalità della vasca di laminazione che causa un aumento sensibile delle portate dei fiumi che a loro volta esondano – soprattutto nelle zone di foce – allagando diversi edifici e mettendo a serio rischio la vita di migliaia di persone. Queste condizioni si sono riproposte anche nel novembre 2013 quando queste zone sono state sommerse da metri cubi d’acqua e dove solo la casualità ha fatto sì che non ci siano state vittime. Nelle zone “R3” ed “R4”, come recita l’articolo 21 delle Norme di attuazione e misure di salvaguardia (Nams), edificare è vietato dalla legge. Addirittura le Nams indicano, per le zone “R4”, settori a rischio da alluvione dove “esistono condizioni che determinano la perdita di vite umane o lesioni gravi alle persone; gravi danni agli edifici e alle infrastrutture, gravi danni alle attività socio-economiche”. La sovrapposizione delle aree a rischio-pericolosità Pai con foto di diversa epoca, ha consentito di accertare inequivocabilmente come molti edifici siano stati realizzati, in queste aree, dopo l’entrata in vigore del Pai stesso (anno 2001), o comunque quasi in concomitanza, e quindi risultino in aree a rischio e non conformi alla normativa vigente».
Questo il “quadro”. Preciso e spietato. Adesso toccherà alla Procura di “agire”…