La sentenza definitiva nei confronti del già capo ‘ndrina di Corigliano e del suo congiunto è stata pronunciata nella tarda serata di ieri
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno confermato le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Catanzaro (Presidente Anna Maria Saullo, a latere Isabella Russi ed Alessandro Bravin) nei confronti dei fratelli Maurizio e Fabio Barilari di Corigliano Calabro nell’ambito del maxiprocesso “Santa Tecla” contro la locale organizzazione di ‘ndrangheta.
Gli “ermellini” romani di Piazza Cavour hanno in pratica confermato l’intera ragnatela accusatoria nei loro confronti, costruita a suo tempo dall’attuale Procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, e fatta propria dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello catanzarese, Salvatore Curcio, il quale aveva ottenuto, in appello, la conferma delle condanne inflitte in primo grado presso l’ex Tribunale di Rossano.
Per il 46enne presunto capo ‘ndrina di Corigliano, Maurizio Barilari, 19 anni e sei mesi di reclusione; 12 anni, invece, per il fratello 44enne, Fabio Barilari.
Entrambi erano accusati d’associazione mafiosa
e d’una lunga sequela d’estorsioni consumata negli anni scorsi proprio nel Coriglianese.
I giudici di primo e secondo grado avevano condannato i due fratelli e, nella tarda serata di ieri, la sentenza d’appello è divenuta dunque definitiva.
Il processo ai fratelli Barilari era uno dei due tronconi del maxiprocesso “Santa Tecla”, che aveva portato, tra l’altro, allo scioglimento del Consiglio comunale di Corigliano per infiltrazioni mafiose, e che ha già visto decine di persone, quasi tutte coriglianesi, definitivamente condannate in Cassazione lo scorso 9 gennaio.
Maurizio Barilari – il quale è stato difeso dagli avvocati Salvatore Sisca ed Andrea Salcina – secondo le sentenze di Rossano e di Catanzaro fu esattore del “pizzo” nonché capo della ‘ndrina attiva ed operante nel Coriglianese sotto l’egida del locale di ‘ndrangheta guidato dagli “zingari” di Cassano Jonio e capeggiato da Franco Abbruzzese alias “Dentuzzo”.
Almeno a partire dall’anno 2000 e fino al suo arresto, avvenuto il 16 luglio del 2009 con la maxioperazione “Timpone Rosso” nell’ambito del cui maxiprocesso è stato di recente condannato a 28 anni, in appello, dai giudici della Corte d’Assise di Catanzaro, per la propria supposta partecipazione agli omicidi di Giorgio Cimino, vittima nel 2001 d’una vendetta trasversale di ‘ndrangheta perché padre dei due collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio Cimino, e poi di Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana, trucidati in un plateale agguato a colpi di kalashnikov consumato nel marzo dell’anno successivo lungo il tratto coriglianese della Statale 106 jonica.
Per questo Maurizio Barilari è da oltre cinque anni detenuto nelle carceri di Parma prima e attualmente de L’Aquila in regime di 41-bis.
Il fratello Fabio, detenuto nel carcere di Catanzaro e difeso dall’avvocato Sisca, rispondeva invece di soli quattro capi d’imputazione a fronte degli undici contestati al primo.