di Anna Rosa Apolito
VILLAPIANA Deceduto presso “il buco nero” del Pronto Soccorso dell’Annunziata di Cosenza dopo una Via Crucis di 7 Stazioni nelle strutture sanitarie della Provincia.
I familiari, affranti e delusi per le gravi falle del nostro sistema sanitario, scrivono ai Dirigenti dell’Asp di Cosenza ma, a distanza di oltre 40 giorni, non hanno ricevuto alcuna risposta. (p.l.r.)
LETTERA APERTA
Al Commissario dell’ASP di Cosenza Dott. Vincenzo La Regina,
al Commissario dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza Dott.ssa Isabella Mastrobuono e
al Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza Dott. Angelo Barbato
Mercoledì 20 ottobre 2021 mio padre Roberto dopo quattro giorni di febbre alta veniva trasportato da casa con il 118 al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Rossano; dopo una notte trascorsa nel corridoio veniva trasferito all’ospedale di Corigliano, dove veniva colpito da una crisi respiratoria e quindi si rendeva necessario il ricovero in terapia intensiva, assente presso l’Ospedale di Rossano.
Quindi veniva intubato e trasferito tramite elisoccorso presso la terapia intensiva dell’ospedale di Cetraro. Dopo tre settimane, una setticemia ampiamente superata, papà sebbene con la tracheotomia usciva dal reparto di terapia intensiva e veniva trasferito nel sub-acuzie lunga degenza dello stesso ospedale di Cetraro. La sua condizione era delicata ma i valori vitali erano stabili, si nutriva da solo, scriveva, era molto attivo e comunicava con noi tramite una lavagnetta, ridevamo anche. Dopo una settimana dall’uscita della terapia intensiva i medici ci dissero che papà era in grado di intraprendere un percorso di riabilitazione respiratoria, per essere “svezzato” e ricondotto ad una condizione migliore che poteva anche concludersi con la chiusura della tracheotomia e la ripresa di una vita “normale”. Grazie anche alla sua fibra resistente e all’assenza pregressa di patologie, i presupposti per la ripresa erano tutti presenti, compresa la grande voglia di vivere.
A quel punto poiché io e mia sorella risediamo a Roma, esprimemmo la volontà di un suo trasferimento fuori regione. Varie interlocuzioni con il primario e altri soggetti ci misero al corrente che data l’età di papà un trasferimento fuori dalla Calabria non sarebbe stato autorizzato, perché secondo le disposizioni dell’ASP di Cosenza, nonché della Regione Calabria a 85 anni la prospettiva di vita limitata non è sufficiente per intraprendere un percorso di miglioramento.
Il BUCO, il TAGLIO, la necessità di RISANAMENTO del bilancio hanno così azzerato i diritti fondamentali dei residenti calabresi. Nel frattempo e nonostante mio padre fosse pronto per il percorso riabilitativo, veniva trattenuto nel reparto sub-acuzie a Cetraro. Solo a posteriori abbiamo capito che non esiste in Calabria una struttura riabilitativa adatta, la Regione pur essendone consapevole impedisce il trasferimento fuori per la fascia d’età in cui si collocava mio padre.
Dunque che fare? Era il 20 dicembre, alle porte di Natale e mio padre permaneva ancora a Cetraro. Contestualmente aumentavano i casi di contagio da Covid, la Calabria era ed è impreparata e per non finire in zona arancione implementò i posti-Covid, a scapito delle degenze ordinarie: la Regione decideva che i ricoverati in sub-acuzie dell’Ospedale di Cetraro potevano essere buttati fuori, e nonostante le condizioni delicate alcuni malati venivano mandati a casa, altri trasferiti repentinamente all’ospedale di Paola. Sicché nella serata del 21 dicembre mio padre veniva trasferito nella QUARTA STRUTTURA- ospedale di Paola, da quel giorno non abbiamo più potuto avere contatti con papà.
Dall’ospedale di Paola e su opportuno sollecito, il 23 dicembre 2021, mio padre veniva trasferito presso la RSA medicalizzata San Raffaele di Castiglione Cosentino, spacciataci per struttura riabilitativa. Ma il tempo trascorreva e papà non veniva avviato ad alcun percorso riabilitativo, il gennaio 2022 non potevamo essere ancora edotti del suo stato clinico, non potevamo essere messi al corrente della prevista valutazione ad opera di una commissione medica, cosa ancora più grave non gli veniva sostituita la cannula della tracheotomia, che oramai obsoleta e quindi malfunzionante non gli consentiva più di alimentarsi per bocca.
Su nostra insistenza finalmente il 18 febbraio papà veniva portato dalla RSA di Castiglione Cosentino all’ospedale di Cosenza, dove gli veniva sostituita la cannula. Sabato 19 febbraio verificammo personalmente che papà, nonostante il dispositivo fosse nuovo (forse) non aveva potuto riprendere ad alimentarsi per bocca perché la cannula montata era inadatta, presumibilmente per errata dimensione o cattivo montaggio. Papà lamentava un grande fastidio, aveva fame, richiedeva insistentemente di volersi nutrire per bocca.
Nei giorni seguenti notammo anche che la maglietta intima sul suo petto era intrisa di sangue. I medici della RSA di Castiglione Cosentino più volte interrogati ci fornivano versioni sempre contraddittorie sul cattivo funzionamento della cannula, sul perché papà non poteva più mangiare e mai nessuna logica razionale risposta sulla presenza delle macchie di sangue, mentre venivamo informati costantemente sui parametri della respirazione-sempre buoni.
Noi eravamo esasperati, disperati, impotenti di fronte al travisamento della realtà che era sotto i nostri occhi, al di là del tempo lasciato inutilmente trascorrere dalla RSA e in cui non era stato intrapreso alcun percorso riabilitativo, era stato commesso anche un errore medico gravissimo.
Ciò compreso, lunedì 28 febbraio dopo 10 giorni e su nostra ufficiale insistenza papà veniva portato con il 118 all’ospedale di Cosenza, allo scopo che gli venisse installata la cannula adeguata. Da allora non abbiamo più visto papà.
Alle ore 12:00 del 28 febbraio è stato ingoiato dal Pronto soccorso dell’ospedale “civile” di Cosenza, dove nessuno ha sollevato la cornetta per rispondere alle nostre telefonate. Nel tardo pomeriggio mia sorella riceveva una prima veloce telefonata che restituiva una condizione di papà con valori stabili e in grado di rientrare nella RSA di Castiglione Cosentino.
La seconda telefonata ci avvisava che papà veniva trattenuto per una Tac e qualcosa altro che non abbiamo ben compreso perché non ci è stato spiegato. La terza e ultima telefonata ricevuta alle ore 1:08 nella notte tra lunedì e martedì ci avvisava che papà era deceduto.
Papà Roberto è venuto a mancare in completa solitudine nel corridoio del pronto soccorso di Cosenza, nella fredda notte tra il 28 febbraio e il 1° marzo.
Lui che amava essere circondato dagli affetti che mai ha privato dei sacrifici della sua vita è andato via senza il saluto dei suoi cari, lui sempre disponibile e sorridente a tutti non sappiamo se al momento dell’ultimo respiro un volto sconosciuto l’ha accompagnato al trapasso.
Papà si trovava lì con l’unico scopo di essere posto nelle condizioni di riprendere nel più breve tempo possibile l’alimentazione orale ed essere avviato ad un percorso riabilitativo. In quella che definisco la “SESTA STRUTTURA” della via crucis papà si è fermato e non è più potuto ripartire; ad ogni fermata noi familiari abbiamo fatto esperienza di angeli-che comprano da mangiare ai malati con il loro stipendio e di demoni-che si trincerano dietro il “sistema”. Il dolore inarrestabile della perdita di certo modifica i punti di vista ma le condizioni in cui si è verificata ha accelerato infinitamente l’indignazione e non ha attutito la rabbia che lucide emergono ad affermare che ciò che ha vissuto mio padre Roberto, nel BUCO NERO del pronto soccorso di Cosenza, non si deve
mai più ripetere per nessuno altro che sia un padre, una madre, un figlio o una figlia…..tutti noi siamo legami d’affetto che meritano pari dignità sociale e istituzionale al sud o al nord del mondo.
Nessuno potrà più restituirci Roberto, padre simbolo di tutti i figli, ma i direttori generali, commissari e direttori sanitari appositamente incaricati hanno il dovere e la responsabilità di fornire una risposta su come sia possibile che un luogo deputato costituzionalmente e moralmente a salvare e tutelare la vita possa invertire senza controllo la sua funzione e trasformarsi in un luogo di morte e di negazione della dignità umana!
L’urgente risposta non è una richiesta ma una giusta ed equilibrata pretesa che va oltre la giustificazione dell’errore medico, circostanziabile e valutabile in altre sedi. Solo l’unidirezionale risposta o un suo cenno potrà restituire parzialmente la dignità negata da vivo a mio padre e potrà affidarlo alla giusta pace dell’inaspettata morte, della cui causa nessun ruolo istituzionale, può in fondo alla propria coscienza sentirsi estraneo della responsabilità che l’ha provocata.
Anna Rosa Apolito