“Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del CBD legalmente prodotto in un altro Stato membro”
Questo, in sintesi, quanto espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito alla libera circolazione delle merci, tra cui appunto anche i prodotti derivati dalla pianta di cannabis sativa, dalla quale si ricava anche la migliore cannabis legale.
Per quale motivo si è reso necessario l’intervento regolatore della Corte Europea? La risposta è presto individuata nel diffuso pregiudizio che riguarda la pianta e gli attori del suo processo di elaborazione.
La concezione che annovera la cannabis tra le sostanze stupefacenti, non può e non deve esimersi dal rivalutare la questione alla luce degli sviluppi che vedono attribuite alla stessa innegabili proprietà terapeutiche e ecologiche.
Il processo francese che influenza l’Europa
A questo proposito è interessante e fondamentale esaminare quanto accaduto nel 2014. La società KanaVape, specializzata nella vendita di liquido per sigarette elettroniche a base di cannabidiolo, importava il suddetto liquido dalla Repubblica Ceca.
L’olio veniva estratto dall’intera pianta, attività non permessa secondo quanto emanato dalla legge francese, la quale consentiva l’utilizzo ai fini commerciali solo ed esclusivamente di fibre e semi.
Ciò è costato ai membri della KanaVape la condanna penale, che successivamente impugnata ha reso necessaria la presa di posizione della Corte Europea che il 19 Novembre 2020 ha sancito quanto segue:
“Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
E aggiunge che l’unica eccezione ammissibile deve essere mossa “da un obiettivo di tutela della salute pubblica ma non deve eccedere quanto necessario per il suo raggiungimento”.
Ma il CBD dunque, è legale?
Sulla lunghezza d’onda proibizionista, la reazione del governo francese in merito all’importazione di un derivato della cannabis, nota sostanza stupefacente, non meraviglia affatto, specie se consideriamo che le modalità di estrazione della Repubblica Ceca erano, all’epoca dei fatti, considerate illegali in Francia.
Vista la scarsa e piuttosto farraginosa legislazione in materia di cannabidiolo, è facile comprendere che alla base di tale atteggiamento, vi fosse l’errata associazione del CBD al THC.
A questo punto si rende indispensabile chiarire le differenze tra i due principi attivi della cannabis.
L’effetto stupefacente è intera responsabilità del tetraidrocannabinolo (THC), il quale fa parte delle sostanze psicotrope. Da qui il suo potere drogante.
Per quanto riguarda invece il CBD, è ben noto che non crea effetti psicotropi nell’organismo, tantomeno dipendenza. In sostanza, è impossibile considerarlo una sostanza stupefacente nociva per la salute. E di conseguenza risulta completamente legale.
La prospettiva italiana
Dal punto di vista economico, si può considerare la libera circolazione del CBD il vero e proprio incipit di un nuovo business. E così è stato.
Di seguito le considerazioni della Coldiretti: “Si aprono prospettive commerciali del tutto inesplorate perché, sempre che i dati scientifici disponibili consentano di escludere l’assenza di rischi reali sulla salute in base a indici oggettivi e non ipotetici, è possibile costruire una filiera che dal campo arrivi alla immissione al consumo di prodotti da impiegare per sigarette elettroniche”.
E ancora: “La sentenza della Corte Ue apre nuove opportunità per centinaia di aziende agricole, che in Italia hanno investito nella coltivazione della cannabis con i terreni coltivati, che nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte superando i 4.000 ettari”
Innegabili anche i benefici che le piantagioni di canapa creano per la terra stessa. La coltura di questa pianta contribuisce in modo significativo a migliorare la fertilità del terreno e, in un certo senso, a bonificarlo, data la sua alta resistenza alle erbe infestanti.
La coltura della canapa, come sostenuto dal dott. Paolo Guarnaccia, ricercatore del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università degli studi di Catania, “è una coltura industriale, cioè capace di attivare filiere che permettono di valorizzare tutte le componenti della pianta. Non bisogna ragionare in termini di infiorescenza che, al momento, è sottoposta a una normativa che ne limita l’impiego. Ma se la consideriamo per intero, il seme impiegato nella filiera agroalimentare possiede numerose proprietà nutrizionali; gli steli sono destinati alla produzione di biomassa per i biomateriali, le fibre tessili e i biocompositi (di cui si parla tanto per la sostituzione della plastica)».
«In più – prosegue – il residuo della selezione avvenuta per la separazione dei semi e degli steli, permette di attivare anche la filiera cosmetica. Infatti, oltre al cannabidiolo, sono presenti circa un centinaio di cannabinoidi destinati alla nutraceutica ed alla cosmesi, dando forza alle aziende italiane che si muovono verso questa direzione e che possono, così, approvvigionarsi dal territorio anziché importare la biomassa dall’estero. Un vantaggio, perciò, a 360 gradi: dal punto di vista agronomico, ecologico-ambientale, salutistico e, non ultimo, economico per l’impulso all’occupazione e, in generale, all’economia locale».
In conclusione.
Dalla libera circolazione del CBD sembrano destinati a guadagnare molteplici settori economici.
La coltivazione della canapa, come del resto aveva già dimostrato in passato, rappresenta un importante investimento per l’economia italiana su fronti plurimi.
Una pianta industriale a tutti gli effetti, che può essere impiegata con profitto in tutte le sue parti e che inoltre contribuisce significativamente ad aumentare la fertilità del terreno e alla bonifica dello stesso.