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Firmato il Decreto Calabria: ci pisciano in testa e ci dicono che piove!

Posted on Aprile 19, 2019 By Redazione


Ieri il Palazzo della Prefettura di Reggio Calabria ha ospitato il Consiglio dei Ministri in trasferta: tra qualche selfie, una visita ai Bronzi, una sciacallata a San Ferdinando, ecco la firma sul Decreto Calabria, misura emergenziale per affrontare l’atavico bubbone della sanità calabrese.

Un decreto già annunciato dalla ministro Grillo dopo che scandali e inchieste avevano ripuntato i fari nazionali sulla nostra regione e sui suoi ospedali, su un “sistema” indubbiamente infestato da infiltrazioni masso-mafiose, dove la politica tutta si è interessata più di clientele, nomine e assunzioni che del benessere dei calabresi, dove burocrati e manager sono subordinati agli interessi di chi li ha nominati. Un sistema che produce un disavanzo di circa 160 milioni di euro l’anno, e questo nonostante gli ormai 10 anni di commissariamento, perché non dobbiamo dimenticare che per il rientro del debito siamo già commissariati dal 2009.
E i commissariamenti, istituto antidemocratico che purtroppo in Calabria conosciamo fin troppo bene, non hanno mai prodotto alcun passaggio positivo nella nostra regione: sono serviti solo a espropriare i territori dalla possibilità di decidere e far ulteriormente aggirare le leggi a chi avrebbe dovuto per primo farle rispettare.
Certo Oliverio non è il “nostro” governatore, politicamente parlando, e la sua giunta non si è caratterizzata di sicuro per grandi avanzamenti per la nostra regione, ma non possiamo fare come Tafazzi: con questo ulteriore commissariamento non stiamo punendo il governo regionale, ma i calabresi stessi.
Il decreto, nella sostanza, pone la “novità” d’imporre al commissario ad acta precisi adempimenti a scadenza fissa: ogni sei mesi! Ma cosa dovrebbe controllare il commissario in merito al lavoro dei direttori generali delle aziende sanitarie calabresi? L’andamento del piano di rientro, la quadratura dei conti, non certo la garanzia dei servizi per i calabresi, non certo i LEA il cui mancato raggiungimento diventa alibi per giustificare questa misura, senza che poi però venga proposta alcuna soluzione al riguardo.
Della carenza di personale e strutture poco o nulla si dice, che poi se non si garantiscono i LEA non è, o almeno non è solo, per malagestione. Sono i tagli lineari, la chiusura dei presidi periferici, la totale incuranza delle esigenze dei territori, i principali fattori che impediscono la garanzia di un minimo standard di qualità ed efficienza dell’offerta sanitaria pubblica.
Il nostro sistema di tutela della salute è un importante patrimonio di esperienze, organizzazione, servizi e assistenza; dovrebbe essere costantemente preservato e valorizzato, dovrebbe essere accudito e, ove necessario, rinnovato certamente con l’aiuto di mani esperte, ma che conoscano e soprattutto amino il territorio, e non solo siano attenti ai freddi bilanci.
Non è sottraendo la sanità alla politica calabrese e concentrando il potere nelle mani del governo che risolveremo il problema: lo stiamo solo spostando, con l’aggravante che lo stiamo facendo allontanando il momento decisionale dai territori, stiamo sancendo come calabresi la nostra subalternità. E la temporaneità del Decreto non è un alibi: se lo facciamo per 18 mesi saremo pronti a farlo per sempre…
Siamo di fronte, a nostro modo di vedere, all’ennesima presa in giro per questa regione, siamo concretamente davanti al rischio di vedere ulteriori chiusure di presidi sanitari nei nostri territori, ma soprattutto stiamo permettendo noi stessi, ancora una volta, che ci sia tolta la possibilità di contare, di decidere sui nostri territori, e con un governo che spinge per l’autonomia differenziata a favore delle regioni ricche c’è bisogno, e urgentemente, di un’impennata di orgoglio.

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