La biodiversità agrumicola della Calabria. E’ stato l’argomento centrale di un nostro incontro con Francesco Perri (foto a lato), agronomo, che vive nella Piana di Sibari, che è uno dei maggiori esperti di agrumicoltura in Italia. “Oltre a essere la seconda regione italiana per importanza in termini di produzione di agrumi – afferma il dott. Perri – a livello mondiale la Calabria presenta una spiccata biodiversità agrumicola: si coltiva, infatti, ogni tipologia di agrume, diverse tra loro per forma, colore e sapore.

Tutta la fascia costiera calabrese è caratterizzata da più oasi naturali, ovvero ambienti unici e ideali e perciò vocati alla coltivazione di questi svariati agrumi”. Diversità implica innovazione e l’altra faccia dell’innovazione è l’estinzione. “Se negli anni ci siamo lasciati dietro cultivar ormai sparite, il cui germoplasma è conservato in gran parte al Crea di Acireale e destinato a scopo di ricerca scientifica, altre specie sono diventate caratterizzanti del territorio e, di conseguenza, commercialmente valide”. Dottore Perri li vogliamo illustrare più nello specifico ? Iniziamo con cedro di Calabria. “E’ l’agrume più esclusivo che abbiamo in Calabria e il più antico. Notizie storiche parlano dell’introduzione del cedro nel 300 a.C. Viene coltivato nell’Alto Tirreno cosentino, nella cosiddetta Riviera dei Cedri, ed è un agrume indispensabile nella religione ebraica per la Festa delle capanne o Sukkot, di cui parla l’Antico Testamento”. La superficie coltivata è intorno ai 100 ettari, con notevoli potenzialità di espansione e, quindi, maggiori opportunità commerciali”. Passiamo ora alle Clementine il frutto che ci interessa più da vicino. “Il Clementine è l’agrume che possiamo considerare il punto di forza della Calabria. Nella Piana di Sibari, la più estesa delle pianure calabresi, questo agrume ha trovato l’ambiente più vocato, dove esprime un livello qualitativo molto elevato. Qui si produce circa il 50% delle clementine italiane; altre aree di produzione sono la Piana di Rosarno-Gioia Tauro e, in misura più ridotta, il lametino. Negli ultimi decenni è stato fatto un lavoro agronomico molto importante, in quanto, con l’inserimento di diversi nuovi cloni, si è riusciti a triplicare il calendario della stagionalità, portandolo da inizio ottobre a febbraio”. Il Bergamotto. “Sul litorale jonico reggino, lungo un tratto di circa 100 chilometri su una superficie investita di circa mille ettari, si coltiva un altro gioiello dell’agrumicoltura calabrese, il bergamotto (foto a lato). “Deriva dalla parola turca beg armundi, che significa pera del signore. L’importanza storica di questo agrume è legata all’essenza contenuta negli oli essenziali della sua buccia, che serve a fissare il bouquet nei profumi. Ultimamente, però, recenti studi universitari hanno dimostrato che anche il succo contiene sostanze naturali che hanno un effetto simile alle statine e aiutano, perciò, a contrastare il colesterolo, tra le altre patologie”. Limone di Rocca Imperiale. “Il limone di Rocca Imperiale si coltiva nell’Alto Jonio cosentino, su una superficie di circa 250 ettari, in un’area dal clima particolarmente mite, adatta alla coltivazione dell’agrume, e abbastanza indenne dal problema del mal secco. Si tratta di una cultivar ricca di succo, con pochissimi semi, abbastanza profumata. Un limone di ottima qualità”. Il Pompelmo. “In Calabria, nel lametino, si coltiva anche il pompelmo. “Qualche decennio addietro si producevano cultivar a polpa bianca, completamente sostituite dalla varietà Star Ruby a polpa rossa. Anche se attualmente si tratta di produzioni di nicchia, l’obiettivo è estendere gli areali e, quindi, ampliare la commercializzazione”. Le arance. “La classica arancia calabrese era quella bionda, arrivata nel 1800 per mano di commercianti portoghesi, da cui anche il nome dialettale portugallo. Presenti diversi cloni, sicuramente della stessa origine: il Biondo di Caulonia, il Biondo di San Giuseppe, il Biondo di Corigliano, il Biondo di Trebisacce per citarne alcuni. Poi bisogna menzionare l’Ovale, denominato anche calabrese, che deriva da una mutazione chimerale di Biondo comune. La sua peculiarità era la raccolta che si effettuava a maggio inoltrato e successiva conservazione, in ambienti freschi naturali, fino all’estate. Già da tempo, però, il Biondo comune e l’Ovale sono stati sostituiti da altre varietà, ovvero le arance Navel tardive (Lanelate e altre), che si coltivano in molti areali del mondo e anche in Calabria”. Ed infine ci parli degli agrumi Acidless. “Nel territorio calabrese si coltivavano tradizionalmente agrumi acidless, cioè a bassissima acidità (0,06-0,15%). Si tratta di agrumi con lo stesso contenuto di vitamine, sali minerali e altre sostanze nutritive, ma con polpa dolcissima, non acida e dal gusto delicato. I più rappresentativi, ancora tuttora presenti ma per esclusivo utilizzo familiare, sono l’arancia Vaniglia, il limone dolce e la Limetta Romana (nella foto sotto). Quest’ultima – spiega Perri – è stato uno dei primi agrumi ad arrivare nella Piana di Sibari, con le cui bucce si ottiene un ottimo rosolio, molto gradevole e profumato”. Perri ha inoltre ricordato che, data l’abbondante diversità degli agrumi di Calabria, sono presenti vari marchi territoriali. “Abbiamo l’Indicazione Geografica Protetta-IGP per le clementine di Calabria e per il limone di Rocca Imperiale, la Denominazione di Origine Protetta-DOP per l’essenza del bergamotto (non ancora per il frutto), ed è in itinere il riconoscimento da parte dell’Unione europea per la DOP del cedro di Santa Maria del Cedro”. Infine, l’esperto ha lanciato un appello: “Vorrei invitare i ristoratori italiani, ma soprattutto quelli calabresi, a proporre maggiormente gli agrumi nei ristoranti in quanto spesso sono assenti. Questo significherebbe, fra l’altro, assecondare la voglia di conoscenza delle nostre tipicità”.