I cambiamenti climatici, la sconsiderata gestione del territorio, la mancanza di una efficace politica di prevenzione e di convivenza con il rischio dissesto idrogeologico alla base delle tragedie che hanno sconvolto l’area jonica Corigliano-Rossano
Il problema della fragilità del nostro territorio e dell’esposizione al rischio di frane e alluvioni riguarda molte aree della nostra Penisola. In ben 6.633 comuni italiani sono presenti aree a rischio idrogeologico che comportano ogni anno un bilancio economico pesantissimo, intollerabile quando tutto ciò è pagato con la vita.
E’ evidente l’assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell’impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine da un lato a usi speculativi e abusivi del territorio, dall’altro al suo completo abbandono e l’indifferenza della programmazione politica su investimenti di salvaguardia ambientale del proprio territorio.
In un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi, la gestione irrazionale del territorio porta a conseguenze disastrose come quella che stiamo vivendo sul nostro territorio della costa Jonica, nei comuni di Corigliano-Rossano in totale emergenza alluvione (inonda il torrente Citrea a Rossano).
Bisogna intervenire subito e concretamente. La terribile situazione di emergenza alluvione e dissesto idrogeologico avvenuta nei comuni di Corigliano-Rossano, deve costringerci ad intervenire ora per mettere in sicurezza il nostro territorio e quei cittadini che vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico. Le precipitazioni (200 mml di pioggia accertati) sempre più intense e frequenti per i cambiamenti climatici in atto, in un territorio reso più vulnerabile dal consumo di suolo e gestito solo attraverso interventi urgenti di riparazione piuttosto che su un’azione di prevenzione e manutenzione diffusa su tutto il territorio, sono queste le cause del problema che vanno affrontate ora, in Calabria come nel resto d’Italia. A cominciare dai fondi stanziati per la prevenzione dei danni causati dal dissesto idrogeologico che debbono essere adeguati alla realizzazione dell’unica grande opera veramente necessaria per il Paese, e non possono essere limitati, quei 50 milioni previsti dalla Legge di stabilità in discussione al Senato. Così come bisogna rivedere le politiche dei tagli che hanno indebolito gravemente il sistema di protezione civile regionale, che fino ad oggi non ha dimostrato efficienza e adeguata organizzazione dei soccorsi a rispondere alle emergenze.
Frane e le alluvioni non sono una novità nel nostro Paese, ma negli ultimi anni questi eventi sono diventati sempre più frequenti. In dieci anni le aree dei territori coinvolti da frane e alluvioni è raddoppiata, passando da 4 regioni coinvolte annualmente alla media attuale di 8. Così come sono aumentate in modo esponenziale le concentrazioni di piogge cadute al suolo. Eppure si continua ad ignorare la necessità di attuare una seria politica di mitigazione del rischio da frane e alluvioni: negli ultimi dieci anni infatti abbiamo speso per la prevenzione solo 2 miliardi di euro. Cifra identica a quella spesa solo per far fronte alle emergenze principali causate dal dissesto idrogeologico negli ultimi tre anni.
Adeguati fondi per la prevenzione però non sembrano arrivare nemmeno quest’anno. La Legge di Stabilità infatti sblocca 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli “Accordi di programma” fatti negli anni scorsi con le Regioni per far fronte alla somma urgenza e ne stanzia di nuovi solo 180 milioni così divisi: 30 per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016. A livello nazionale abbiamo bisogno di investimenti veri e duraturi per mettere in campo un’azione di difesa del suolo e rilanciare la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere di somma urgenza , mentre a livello globale, ci auguriamo che l’occasione della conferenza dell’Onu sul clima in corso a Varsavia sia sfruttata adeguatamente per decidere un’azione risolutiva per la riduzione di CO2 e la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto.
In questi giorni le intense piogge tropicali stanno letteralmente mettendo in ginocchio la costa Jonica della Calabria e purtroppo l’acqua che cade dal cielo nel suo scorrere verso il mare ha lasciato un segno indelebile in molte zone in cui la furia di fiumi, torrenti e rii ha creato danni e disastri. L’esondazione di fiumi, il rigonfiarsi dei torrenti e le colate di fango hanno invaso i centri abitati di Rossano marina e Corigliano, spazzando via quanto trovavano lungo il loro corso e lasciando cumuli di macchine, di detriti e devastazione. Un’allerta meteo che durerà ancora nelle prossime ore e che sta mettendo a nudo tutte le fragilità e le criticità di un territorio sempre più vulnerabile. Eventi molto intensi e violenti, ma la cui eccezionalità si è ormai trasformata in normalità. Ma ancor di più la cronistoria ricostruita a partire dai dati dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ci dimostra che negli ultimi due anni si sono succedute piogge di eguale se non superiore intensità su tutto il territorio italiano. Fenomeni che prima si verificavano una volta ogni 50 anni ormai si ripresentano annualmente portando conseguenze disastrose e a volte tragiche per i territori colpiti. Dati che certificano i cambiamenti climatici in atto e le loro evidenti conseguenze su scala locale.
È arrivato il momento di dire a chiare lettere che non devono più avere cittadinanza nel nostro Paese posizioni negazioniste e che i nostri governanti nazionali e regionali si dovranno impegnare in prima persona perché si arrivi concretamente e in tempi rapidi ad un accordo internazionale vincolante, se vogliamo evitare che situazioni analoghe si ripetano con frequenza ed intensità maggiori, promuovendo al contempo comportamenti virtuosi che possano solo frenare il riscaldamento ed evitare che giunga alle estreme conseguenze.
Ma se le violente precipitazioni sono state la causa scatenante non è imputabile alla pioggia il disastro che questo evento ha causato nei Comuni della costa Jonica coinvolti. Una gestione sbagliata del territorio e delle aree considerate ad elevato rischio idrogeologico, la mancanza di adeguati sistemi di allertamento e piani di emergenza insufficienti per mettere in salvo la popolazione, insieme ad un territorio non più in grado di ricevere precipitazioni così intense sono i fattori che hanno trasformato un violento temporale in tragedia annunciata.
Quale sarà il futuro di questi territori? Un futuro che però deve essere preparato fin da subito, a partire dai primi interventi del post emergenza per evitare che se ne potranno verificare altri in futuro. Al momento non si parla di danni censibili, troppo presto, ma i Sindaci hanno fatto bene a chiedere lo stato di calamità. Per questi tragici eventi, di questi giorni devono innescare fin da subito alcuni ragionamenti e proposte politiche di salvaguardia ambientale, per garantire il prima possibile la sicurezza delle persone che passa attraverso una seria politica di prevenzione e tutela del territorio e dei corsi d’acqua. Non si può attribuire la colpa, così come è stato fatto in alcuni casi anche dopo gli ultimi avvenimenti, alla vegetazione spontanea troppo cresciuta e alla mancata pulizia ed escavazione degli alvei per allagamenti e alluvioni, quando tutti gli studi scientifici più seri dicono da tempo che non sono quelle le cause, anzi. Risulta ormai evidente che tutto il territorio abbia oggi bisogno di una concreta ed efficace politica di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. Un’azione che deve partire da una nuova cultura del territorio e dei fiumi, gli enti competenti regionali e le amministrazioni locali con l’obiettivo comune di coniugare la mitigazione del rischio idrogeologico con la tutela ambientale. Una manutenzione che non sia sinonimo di artificializzazione e squilibrio delle dinamiche naturali di un versante o di un corso d’acqua ma che preveda interventi mirati e localizzati dove realmente utili e rispettosi degli aspetti ambientali; – rivolgere una particolare attenzione all’immenso reticolo di corsi d’acqua minori, visti gli ultimi avvenimenti in cui proprio in prossimità di fiumare e torrenti si sono verificati gli eventi peggiori e al tempo stesso si sono compiuti gli scempi più gravi; – applicare una politica attiva di “convivenza con il rischio”. Per far questo è necessario applicare sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione.
Corigliano Cal. Lì 12.08.2015 Ingegnere Francesco GALLO