Le aree a rischio “R3” ed “R4” nei pressi del torrente Coriglianeto vedono la presenza d’edilizia residenziale privata ad…“Effetto bomba”
Nessuna sorpresa. C’era da aspettarselo: Corigliano Calabro è finita nel “libro nero” di Legambiente. Si tratta d’uno scottante, documentatissimo dossier sul dissesto idrogeologico italiano. Quello più scandaloso, quello doloso. Legambiente “in materia” ha le idee chiarissime: in Italia vi sono almeno dieci “casi” con varie costruzioni edilizie che andrebbero fatte abbattere da parte dei sindaci. La Calabria nella “malalista” che correda il rapporto – dall’emblematico titolo “Effetto bomba” – compare tre volte. Tre su dieci è un “bel” numero, come uno su tre. E “l’uno” sono delle costruzioni edificate in un’area a fortissimo rischio idrogeologico proprio a ridosso degli argini del torrente Coriglianeto, il principale corso d’acqua del più importante e popoloso comune dell’area jonica cosentina.
A parere di Legambiente, che s’è avvalsa della consulenza d’un qualificatissimo pool d’esperti costituito da geologi ed ingegneri, l’area edificata nei pressi della foce del torrente Coriglianeto – quella tra la popolosa frazione marina di Schiavonea e la confinante contrada marina di Fabrizio – sarebbe a fortissimo rischio di carattere idrogeologico. La pensano ovviamente in maniera molto diversa da Legambiente i proprietari degli edifici residenziali.
Nel rapporto redatto dagli ambientalisti si ritiene urgente intervenire, al fine di scongiurare effetti disastrosi perchè in quei luoghi ad alto rischio si sono succedute pesanti alluvioni.
«Occorre cambiare le forme d’intervento nel territorio e ripensare la pianificazione urbanistica attraverso la chiave dell’adattamento al clima – afferma il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – perchè ce lo chiede da tempo la Commissione europea e ce lo consentirebbero anche i fondi strutturali 2014-2020; si tratta però di fare pure un grande cambiamento di tipo culturale, poichè i cambiamenti climatici ci obbligano a guardare in modo diverso al territorio, e proprio la gestione sciagurata del territorio può contribuire ad aggravare i rischi per le persone e le cose. Di fronte a questo scenario servono scelte nuove e radicali: in caso d’edifici che mettono a rischio le persone che v’abitano o vi lavorano e anche chi vi sta intorno, l’unica scelta possibile è quella della demolizione e della delocalizzazione delle attività».
Le costruzioni coriglianesi “incriminate” sono ubicate in aree “R3” ed “R4” di rischio idrogeologico – rispettivamente “alto” e “molto alto” – dove esondazioni, alluvioni e situazioni di pericolo si ripetono con cadenza regolare e dove la prossima emergenza può essere solo questione di tempo.
Il “dato” reso noto ieri da Legambiente era stato già “anticipato”, nei mesi scorsi, da parte della giornalista di Sky Tg24, Manuela Iatì, nel corso d’uno speciale servizio televisivo a tema realizzato (anche) a Corigliano Calabro. “Dato” di fronte al quale il sindaco Giuseppe Geraci, intervistato, aveva testualmente dichiarato che «si tratta di roba di quarant’anni fa» mentre la giornalista immediatamente gli contestava che le costruzioni cui si stava riferendo risalgono agli anni Duemila.
Magrissima figura quella, ma ancor peggio quella d’oggi con l’ingresso ufficiale di Corigliano Calabro nell’elenco dei comuni dolosamente dissestati redatto da Legambiente.
Forse già allora il sindaco poteva metterci una “pezza” di buon senso, magari spiegando cosa intende(va) e cosa intende ancora fare per frenare l’ancora dilagante fenomeno dell’abusivismo edilizio, “padre” del dissesto idrogeologico…