Nel 2006 avrebbe voluto “far fuori” Antonio Bruno alias “Giravite”. Il boss coriglianese fu ucciso tre anni dopo
Ecco cosa dichiarano ben sei “pentiti” ai magistrati della Dda di Catanzaro, nell’ambito della maxi-inchiesta anti-‘ndrangheta “Gentleman”, sul conto del 46enne Filippo Solimando presunto capo del locale degli “zingari” che da anni domina incontrastata, in lungo e in largo, l’intero scenario criminale della Piana di Sibari.
Sono Vincenzo Curato, Carmine Alfano, Giampiero Converso (quest’ultimo nel frattempo è deceduto) e Pasquale Perciaccante coloro che hanno “spiegato” in modo dettagliato e particolareggiato agl’inquirenti il ruolo di Solimando a partire dalla seconda metà degli anni Novanta.
Converso il 22 ottobre del 2004 riconosceva in foto Filippo Solimandio che additava come “braccio destro” di Franco Abbruzzese alias “Dentuzzo”, quest’ultimo condannato alla pena dell’ergastolo, in appello, nell’ambito del maxiprocesso “Timpone Rosso”.
Il 27 novembre del 2007 pure Alfano riconosceva in foto Solimando, che dichiarava essere colui al quale era riconducibile una cooperativa utilizzata per le truffe all’Inps.
Lo stesso Alfano, il 5 giugno del 2014, dichiarava che Solimando era, nel corso del 2000, tra gli affiliati alla cosca coriglianese che, detenuto, tramite i suoi familiari riceveva uno stipendio che veniva consegnato da Maurizio Barilari – cognato di Alfano e condannato a 28 anni, in appello, in “Timpone Rosso” – proprio in sua presenza che a Barilari faceva da “autista”.
Alfano continuava il proprio narrato collaborativo riferendo che Solimando, una volta uscito dal carcere nel 2006, durante la reggenza di Antonio Bruno alias “Giravite” (ucciso in un agguato nel giugno 2009) s’allontanava da Corigliano riparando a Policoro, nel Materano, poiché non sopportava che “Giravite” si fosse alleato coi rivali degli “zingari” vale a dire la famiglia Forastefano di Cassano.
Pertanto, secondo il “pentito”, Solimando avrebbe maturato il proposito d’uccidere lo stesso “Giravite” quando sarebbero usciti dal carcere suo cognato Leonardo Linardi e Pietro Longobucco.
Curato ha reso dichiarazioni “convergenti” asserendo, nell’interrogatorio del 21 luglio 2014, che Solimando era stato nominato, a metà anni Novanta, “responsabile” per conto della cosca coriglianese della zona di Apollinara, che era dedito alle rapine in danno degli autotrasportatori e che era tornato a Corigliano nel corso del 2007 dopo diverse carcerazioni.
Perciaccante il 6 giugno del 2014 ha dichiarato d’avere conosciuto Filippo Solimando tra il 1999 e il 2000 e che all’epoca erano entrambi latitanti insieme a “Dentuzzo”.
E in quel periodo – secondo gl’inquirenti – “Dentuzzo’” rimaneva latitante non tanto per sottrarsi alla cattura per pochi mesi di carcere (doveva scontare un definitivo per rapina) ma per organizzare ed eseguire gli omicidi di quanti stavano tornando liberi dopo le carcerazioni conseguenti al maxiprocesso “Galassia”.
Alle dichiarazioni di Curato, Alfano, Converso e Perciaccante vanno a sommarsi altre dichiarazioni accusatorie nei confronti di Solimando, rese da altri due pentiti, Mattia Pulicanò e Silvio Gioia, di cui abbiamo già trattato.