Mirto-Crosia 30/7/2014 – Circolo Culturale “Umberto Zanotti Bianco”.Omaggio al prof. Giuseppe Marino (incluso dall’Istituto di ricerca “Thomson Reuters” fra i 95 migliori matematici del mondo).
«Mi corre l’obbligo, in premessa alla mia conversazione, ringraziare tutti i componenti il prestigioso Circolo Culturale “Umberto Zanotti Bianco” e segnatamente il suo dinamico e fattivo Presidente, ing. Franco Rizzo, per avere dimostrato, con la presente iniziativa e il presente convegno, che non è vero o non è sempre vero quanto afferma il Vangelo, ossia che “nemo profeta in patria”, nessuno è apprezzato nel proprio paese. Questa serata, in onore del matematico prof. Giuseppe Marino, ordinario di Analisi matematica presso l’Università della Calabria, figlio della nostra terra e di Longobucco, la possiamo sinteticamente definire giornata delle tre “R”. “R” di riconoscimento del valore di scienziato apprezzato e riconosciuto sia dall’Istituto di ricerca “Thomson Reuters” sia dalla sua comunità di origine e di appartenenza e dalle Istituzioni locali di Longobucco e di Crosia-Mirto. Poi, “R” di riconoscenza al longobucchese Pino Marino da parte della sua gente e dei due Comuni per avere dimostrato che non siamo figli di un dio minore, che non siamo dei perdenti, che con la cultura possiamo salire ai più alti gradi della competenza e della professionalità pur rimanendo in Calabria. E, infine,“R” di restituzione a un nostro concittadino che ce l’ha fatta, in termini di amicizia, affetto, gratitudine e onorandolo con questa bella iniziativa. Riconoscimento, riconoscenza e restituzione sono tanto importanti perché non sempre i nostri paesi e la nostra gente sono tanto accoglienti, generosi e grati verso i propri figli… e, mi duole dirlo, sbagliano!
La matematica nasce in Calabria ad opera di Pitagora (Pythagòras). Di Pitagora, però, c’è soltanto la leggenda, anzi ci sono tante e contrastanti tradizioni sulla leggenda di Pitagora. Di conseguenza, noi possediamo il Pitagora della leggenda, ma sappiamo poco del Pitagora della storia. Ricostruire compiutamente il pensiero del Nostro era ed è tuttora opera ardua. Proverò ad individuare quanto di certo, anche se ancora provvisorio, emerge dagli ultimi e recenti studi e ricerche anche di chi vi parla.
Pitagora di Samo nasce intorno al 570 a. C. e si forma all’insegnamento di Ferecide di Siro. Avrebbe compiuto frequenti e lunghi viaggi in Egitto, in Fenicia, in Palestina, presso i Caldei, in Tracia, a Creta, persino in Gallia e anche in Oriente e in India, dalle cui culture e civiltà avrebbe appreso dottrine religiose e scientifiche. Abbandonata la sua patria, pare per sfuggire alla tirannide di Policrate (non molto dopo il 538 a.C.), all’età di 32/35 anni circa, si trasferisce nella Magna Grecia, a Crotone, dove vivrà per oltre quarant’anni e dove fonda una sua Scuola, famosa come la Scuola Italica o di Crotone ( Oi apò tes Italìas e tu Kròtonos). Ignoriamo le motivazioni certe di questa scelta. Le nostre ipotesi puntano sulle seguenti considerazioni. Intorno alla metà circa del VI sec. a.C., il Mediterraneo orientale e particolarmente la Jonia incominciano a perdere quelle condizioni di sicurezza, di benessere, di collaborazione, di pacifica convivenza e di sinergia con i popoli del vicino Oriente dei decenni precedenti, a causa dell’espansionismo e della pressione militare dell’Impero persiano, che si fanno progressivamente sempre più incontenibili e minacciosi; tanto che, agli inizi del secolo successivo (499-494 a.C.), i Persiani distruggono e sottomettono le colonie greche dell’Asia Minore e poco dopo (490-479 a. C.) tentano di espandersi in Grecia e di ridurla a colonia persiana. Di conseguenza, i Greci spostano i loro complessi interessi economici (specificamente commerciali) verso le più tranquille regioni dell’Italia Meridionale, dove da secoli avevano iniziato la loro penetrazione e colonizzazione e, soprattutto dai primi decenni del sec. VIII a.C. in poi, hanno consolidato condizioni economico-sociali, politico-istituzionali e culturali ottimali e favorevoli per accogliere i nuovi coloni greci. La civiltà e la cultura greche si dislocano dal Mediterraneo orientale e dalle coste dell’Asia minore verso il Sud dell’Italia, e il centro della Filosofia greca e della ricerca filosofico-scientifica si sposta nella Magna Grecia o Megàle Ellàs : ossia in Sicilia (Agrigento, Siracusa ecc), in Puglia (Taranto), nella Basilicata (Metaponto, Siri) e segnatamente in Calabria. Quest’ultima regione, distinta in Enotria , il territorio a nord (con Sibari), e Italìa a sud, era l’area strutturalmente più ricca e tra le più progredite dell’Italia Meridionale magno-greca, ponte e crocevia tra l’Oriente mediterraneo e l’Occidente europeo, lungo di incontro e di sintesi tra le diverse anime e culture di quel tempo. Nella polis magno-greca di Crotone, ubicata nell’ Italìa, risiedono estimatori e amici di Pitagora, che probabilmente gli offrono ospitalità in seguito all’esilio dalla sua terra, come Democede, che a Samo si era distinto come fisico alla corte di Policrate. Il fatto che Pitagora giunto a Crotone e in Italìa non se ne sia più andato, per un verso, ci spiega l’origine del termine armonia, che egli inventa (contemporaneamente a Eraclito di Efeso) giungendo a Crotone e pare che riferisca anche alla sua nuova patria, e, per un altro verso, ci fa supporre, con prudenza e cautela, che nella terra di Calabria egli abbia trovato non soltanto l’ambiente favorevole e anche stimolante, ma qualcosa in più, che si può comprendere, anche se non dimostrare, con i messaggi e i significati misteriosi ed esoterici che Pitagora cerca anche nei luoghi, che, specificamente a Crotone e nell’intera regione, potrebbero essere percepiti come il posto più vicino a Dio, dove è più facile costruire le tre porte ( ai trèis thyrai) per l’al di là e l’accesso all’Assoluto. A Crotone Pitagora fonda un originalissimo laboratorio filosofico-scientifico, mistico-religioso e politico, ossia una scuola o meglio una comunità di alta formazione culturale, una setta religiosa, una organizzazione politica impegnata nella riforma istituzionale dello Stato in chiave rigorosamente aristocratica, che sarà un modello per le altre città della Magna Grecia (Sibari, Locri, Caulonia, Reggio, Metaponto, Taranto, ecc.). Quella pitagorica è anche una comunità di eguali di uomini e donne, distinti soltanto per gradi di iniziazione, i matematici ( oi mathematikòi), ossia gli eletti, i migliori, i conoscitori dei segreti della Scuola, e gli acusmatici ( oi acuòntai), ossia quelli che debbono soltanto ascoltare e non possono parlare, perché novizi. Quando a Crotone si afferma il movimento democratico anti-pitagorico (guidato da Cilone), feroce avversario e nemico delle istituzioni aristocratiche, la Comunità pitagorica prima va in crisi, poi si dissolve sotto l’azione persecutrice, che è così spietata da arrivare all’incendio della Scuola, al massacro dei Pitagorici o al loro esilio. Pitagora si allontana dalla città e si reca non lontano, nella polis di Metaponto ( da dove probabilmente spera di far ritorno a Crotone e dove di lì a poco, però, muore, ad 80 o a 90 anni, tra il 490 e il 480 a.C.
Pitagora non ha lasciato scritti; forse è autore dei “Discorsi sacri ” e di tre altre opere,“Dell’educazione”, “Dello Stato” e “Della Natura”, andati interamente perduti. Le stesse testimonianze indirette, peraltro abbondanti, sono poco attendibili o comunque sono molto controverse. Sappiamo, con certezza, che egli esercita l’ insegnamento orale, non scritto (àgrafa dògmata), sia perché le sue conoscenze e i risultati delle sue ricerche non si prestano alla divulgazione e sono riservate a un’élite di iniziati e migliori (gli àristoi), che può comprenderli e assimilarli (Pitagora non crede nella cultura democratica per tutti !), sia perché la Verità non è statica e definitiva, ma dinamica e in fieri, e quindi non si presta alla rigidezza e immobilità di uno scritto, sia infine perché consegnare conoscenze e verità a uno scritto determina un indebolimento della memoria , facoltà mentale che conserva la sapienza e stimola l’intelligenza e la creatività (e – si può aggiungere- fa vivere meglio e più a lungo !). Socrate e il primo Platone (e anche Gesù e Maometto) si uniformeranno al pensiero e all’indirizzo del Nostro. Pitagora, nell’antichità, è circondato da una grande fama e gli si attribuisce uno straordinario sapere, enciclopedico e sistematico, un’enorme ricchezza di pensieri, grandi competenze in ogni sorta di opere sagge. E’ universalmente considerato lo studioso per eccellenza di filosofia, di scienze, di religioni, depositario di conoscenze e verità ignote ai comuni mortali, dotato di un carisma, di uno straordinario ascendente sia sugli anziani che sui giovani, capace persino del dono dell’ubiquità, di profezie e di operare miracoli. E’ tale e tanto il prestigio di cui gode, che ogni suo detto è considerato garanzia e certezza di verità, soltanto perché l’ha detto Lui (autòs efa), Ipse dixit.
Ma di certo sappiamo poco. Pertanto, più che di Pitagora ( Pythagòras) sarebbe meglio parlare di Pitagorici ( Pythagorèioi), discepoli diretti o indiretti, che sono molto numerosi (600 ?), sia uomini che donne (tra le quali l’unica ad acquistare notorietà è Teano). Di questi Pitagorici, attraverso le fonti secondarie o indirette, conosciamo: Milone di Crotone (vincitore di ben sei Olimpiadi), Filolao di Tebe (il primo divulgatore del Pitagorismo), Alcmeone di Crotone (il fondatore della medicina come scienza), Archita di Taranto e Aristarco (i fondatori dell’astronomia come scienza),Timeo di Locri, Petrone di Imera, Archippo di Taranto, Ippaso, Ermippo, Simia, Cebeto, Liside, Aristosseno (in stretti rapporti con l’ultima generazione dei Pitagorici, anche se membro del Liceo aristotelico, autore di “Regole pedagogiche”), Eurito, Ocello Lucano, Arione, Echecrate, Senofilo (interrogato su come avrebbe potuto educare suo figlio nel modo migliore, risponde: facendolo nascere cittadino di una città ben governata), i legislatori Zaleuco e Caronda ecc., che costituiscono il primo Pitagorismo, che rimane attivo fino al IV sec. a.C. Intorno al 388 a.C., Platone approfondisce le sue conoscenze e i suoi studi recandosi nella Megale Ellàs presso le comunità pitagoriche e dal pitagorismo sarà talmente influenzato che la sua filosofia, da allora in poi, si può definire platonico-pitagorica e confluirà nella prima filosofia del Cristianesimo o Patristica. Nei successivi secoli I e II d.C., fiorirà un secondo Pitagorismo, rappresentato da Moderato di Gades, Nicomaco di Cerasa, Numenio di Apamea.
Esaminiamo le principali novità e originalità di Pitagora.
Le prime novità riguardano alcuni termini rimasti definitivamente nell’uso e nella comunicazione.
Pitagora, secondo Aezio, è il primo a chiamare l’ Essere o la Realtà in sé Kòsmos (“ che ha due significati complementari: il primo è quello, poi affermatosi definitivamente, di universo; il secondo è quello di ordine (un termine sinonimo è tàxis, “”) per la regolarità costante, invariabile, universale, oggettiva, misurabile ed esprimibile in numeri e per la possibilità per lo scienziato di potere anticipare e prevedere il futuro.
Al egli attribuisce anche l’armonia , un altro suo neologismo.
Inoltre, Pitagora può essere considerato l’inventore della parola, del significato e del ruolo della Filosofia . A lui gli antichi attribuiscono la massima seguente: “… alcuni nascono con anime di schiavi, bramosi di gloria e di guadagni, ma altri, i filosofi, sono desiderosi soltanto della verità”. Cicerone la riprenderà nel seguente racconto delle “Tusculanae disputationes” :
<< … Quem, ut scribit auditor Platonis Ponticus Heraclides, uir doctus in primis, Phliuntem feruntuenisse, eumque cum Leonte,
principe Phliasiorum, docte et copiose disseruisse quaedam. Cuius ingenium et eloquentiam cum admiratus esset Leon,
quaesiuisse ex eo, qua maxime arte confideret; at illum: artem quidem se scire nullam, sed esse philosophum.
Admiratum Leontem nouitatem nominis quaesiuisse, quinam essent philosophi, et quid inter eos et reliquos interesset;
Pythagoram autem respondisse similem sibi uideri uitam hominum et mercatum eum, qui haberetur maxumo ludorum
apparatu totius Graeciae celebritate; nam ut illic alii corporibus exercitatis gloriam et nobilitatem coronae peterent, alii
emendi aut uendendi quaestu et lucro ducerentur, esset autem quoddam genus eorum, idque uel maxime ingenuum,
qui nec plausum nec lucrum quaererent, sed uisendi causa uenirent studioseque perspicerent, quid ageretur et quo modo,
item nos quasi in mercatus quandam celebritatem ex urbe aliqua sic in hanc uitam ex alia uita et natura profectos alios
gloriae seruire, alios pecuniae, raros esse quosdam, qui ceteris omnibus pro nihilo habitis rerum naturam studiose intuerentur;
hos se appellare sapientiae studiosos – id est enim philosophos – ; et ut illic liberalissimum esset spectare nihil
sibi adquirentem, sic in uita longe omnibus studiis contemplationem rerum cognitionemque prestare.
Nec uero Pythagoras nominis solum inuentor, sed rerum etiam ipsarum amplificator fuit >>.
<< … Senonchè, come scrive Eraclide Pontico, ragguardevole figura di dotto, già discepolo di Platone, fu proprio in
occasione di un viaggio a Fliunte e di una convincente e dotta discussione con il signore di quella città, Leonte, che
la tradizione vuole che Pitagora abbia risposto al tiranno che, ammirato delle sue doti di ingegno e di eloquenza,
gli chiedeva quale arte professasse : “ Io non so nessuna arte in particolare : io sono un filosofo “.
Alla successiva domanda di Leonte che, perplesso di fronte a quel termine per lui nuovo, chiedeva che tipo di gente
fossero i filosofi e quale differenza specifica li individuasse rispetto agli altri, Pitagora si espresse in questi termini :
la vita umana era, secondo lui, paragonabile a una di quelle feste popolari in cui si allestivano splendidi giochi, con
il concorso di folla da ogni parte della Grecia ; ora, a quell’appuntamento, c’era chi si recava per ambire, dopo
puntigliosi allenamenti, alla gloria di una corona, che lo avrebbe esaltato, e chi spinto da mire di guadagni allettanti
in attività di compravendita ; ma c’era anche quella categoria di persone che, animate da più nobili intenti, non si
proponevano di ottenere plauso o guadagno, ma erano venute solo per essere spettatori e avere l’opportunità di
valutare accuratamente lo spettacolo nella sua natura e nella sua esecuzione : allo stesso modo gli uomini,
raggiunta questa vita dopo averne abbandonata una precedente di diversa natura – proprio come quelli che da
una città si portano ad una festa popolare affollata – inseguivano chi la gloria, chi il denaro; c’erano però alcuni,
anche se pochi, che, non tenendo in alcun conto le altre occupazioni, indagavano con zelo la natura: eran queste le
persone che egli definiva ricercatori della sapienza cioè filosofi, e, come quelle feste era più nobile il
comportamento di chi solo si proponeva di essere spettatore disinteressato, così nella vita l’indagine e la
conoscenza della natura di gran lunga superavano ogni altra attività. A Pitagora risale non solo la
denominazione, ma anche l’allargamento della sfera di interessi della filosofia >>.
(Marco Tullio Cicerone, “Tusculanae disputationes”, libri cinque . A cura di G. Burzacchini e L. Lanzi,
Zanichelli editore, Bologna 1981-1983, libro V, III-IV, pp. 192-197).
L’episodio se non è vero è certamente verosimile, comunque è intrigante, perché ci permette di entrare nel significato del termine Filosofia e di coglierne gli aspetti contenutistici, psicologici e morali. Innanzi tutto, la Filosofìa non è la “sofìa”, non è la “sapienza ”: non è la risposta al o ai problemi che arrovellano la nostra mente; non è la soluzione ai dubbi e agli interrogativi che rendono inquieta la nostra esistenza; non è la verità personale, esistenziale, umana, laica, storica; non è nemmeno la Verità assoluta, definitiva, reale, oggettiva, eterna, universale, valida per tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi; non è possesso, proprietà, eredità, l’avere. Viceversa, la Filosofia è il desiderio di una risposta appagante il o i problemi che insidiano la nostra mente; è l’aspirazione alla soluzione dei dubbi e degli interrogativi che rendono inquieta la nostra esistenza; è la tensione verso la verità personale, esistenziale, umana, laica, storica; è l’aspirazione, ancora più forte ed appassionata, alla Verità assoluta, definitiva, reale, oggettiva, eterna, universale, valida per tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La Filosofia è amore della Verità.
Pitagora, dunque, opera una netta, inequivocabile, distinzione tra il sofos (“”), ossia il sapiente e il filosofo ()termine che deriva da “ fìlos tes sofìas” (“”), ossia “amante della sapienza”.
La seconda novità-originalità di Pitagora è la ridefinizione del termine matematica (“”), che fino ad allora designava la filosofia e in generale la sapienza; mentre da Pitagora in poi designa l’attuale disciplina delle figure geometriche e dei numeri, prima nota strettamente come geometria (“”).
La terza e più importante innovazione Pitagora la introduce nella definizione di matematica, alla quale assegna ben 4 caratteristiche e 4 competenze:
– la matematica è il tessuto oggettivo dell’intera Realtà (come recita il titolo di questa relazione), è la struttura portante dell’universo, nel senso che natura e cosmo sono strutturati secondo grandezze geometriche, numericamente misurabili. Quella di Pitagora è una Fisica matematica, la cui idea-chiave è: il numero è il principio primo e la causa prima ( O arithmòs estì e arché kài e aitìa prote), è l’essenza di tutte le cose, per cui tutto è numero, tutto è numerabile, tutto è misurabile, tutto è soggetto alla misurazione. Il numero è ordine, garanzia di ordine nel Cosmo, perché il numero è la legge della Natura e dell’Universo, tanto da far dire a Galileo Galilei, dopo oltre venti secoli, nel ‘600, che “La Natura è un grande libro aperto scritto con i caratteri della matematica”.
Scrive Filolao (V sec. a.C.): “ tutte le cose conosciute hanno un numero, perché senza questo non sarebbe possibile che
alcuna cosa fosse compresa e conosciuta. Infatti, senza il numero tutte le cose sarebbero illimitate, incerte ed oscure,
in quanto la natura del numero è legge guida e maestra ad ognuno in ogni cosa dubbia ed ignota ed ogni questione
non sarebbe comprensibile se non fosse il numero anche la sostanza di questa “.
Il principio primo e la causa prima dai quali deriva l’intera Realtà in sé, per Pitagora non sono, come per i primi filosofi della Scuola Jonica di Mileto, elementi fisici, sostanze materiali, qualità sostanziali (come l’acqua, l’aria, il fuoco ecc.), ma sono quantità, ossia numeri e figure geometriche, che costituiscono l’organizzazione, l’ordine, l’armonia, rigidamente strutturati della Realtà. I principi e le cause di cui parla Pitagora e che saranno ripresi dai filosofi meridionali del ‘5-600, Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella, sono entità metafisiche e non scientifiche e saranno sostituite, nel sec. XVII, da Galileo Galilei dai rapporti scientifici di causa-effetto, costanti, invariabili, necessari, universali, matematicamente determinati, meglio noti come “leggi dei fenomeni fisici”.
In principio, per Pitagora, è l’ uno determinato; da questo derivano prima la diade indeterminata e, poi, i numeri, i punti, le linee, le figure piane, i solidi, i corpi sensibili e, quindi, l’intero universo, che è di forma sferica ed è dotato di anima e ragione. Il numero perfetto è il 10, che risulta dalla somma dei numeri ricorrenti 1, 2, 3, 4, e che forma un triangolo, i cui lati constano di 4 unità o punti (noto come lo gnomone, l’asta a forma di squadra da disegno che rende possibile la meridiana o orologio solare). Il numero 10 è così perfetto da proporlo come il numero sacro e divino della Tetractis , simbolo dell’ Eis o Monàs o l’Uno o l’ Unità o la Monade, ossia il Dio di Pitagora, e sulla Tetractis i Pitagorici hanno il dovere di giurare. Pitagora riprende “la dottrina dei contrari “ degli Jonici e di Eraclito e la integra con quella dei numeri. Infatti, il numero è impari o pari ( o arithmòs estì àrthios e perissòs). Pitagora ha una sua originale considerazione sui due numeri: l’impari è un numero perfetto, perché limitato, determinato, finito, in quanto non è suscettibile di divisione; mentre il pari è un numero imperfetto, perché indeterminato, infinito, illimitato. Troviamo, per la prima volta, espressa la convinzione, destinata a diffondersi nella cultura antica e poi medioevale, che la perfezione è nel finito/limitato, perché è comprensibile dalla ragione, che è una facoltà mentale de-terminante e de-finente, e se è pensabile è anche esistente; mentre l’imperfezione è nell’infinito/illimitato, perché non è pensabile e dunque non è reale. Tutto ciò che esiste è riconducibile a questa coppia di contrari, la prima e fondamentale di dieci (il numero sacro) opposizioni: dispari/pari, limite/illimitato, unità/molteplicità, quiete/movimento, retta/curva, quadrato/rettangolo, sinistra/destra, maschio/femmina, luce/ tenebra, bene/male.
Ma Pitagora va oltre la dottrina eraclitea degli opposti, perché al concetto di “armonia della tensione degli opposti” egli sostituisce quello di armonia del superamento, della conciliazione e della sintesi dei contrari, che sa attuare il parimpari o l’ uno, il numero che, partecipando della natura del pari e del dispari, e aggiunto al primo lo rende dispari e, viceversa, al secondo pari. Mentre Eraclito aveva teorizzato l’ “armonia nascosta di tensioni contrastanti”, viceversa, Pitagora punta sull’ armonia ( e sull’equilibrio ( mètron) della “coincidentia oppositorum” (il tema, nuovo e originalissimo, avrà una compiuta sistemazione prima con Nicola Cusano, Giordano Bruno, Benedetto Spinosa e, poi, con Goffredo Guglielmo Federico Hegel).
– La matematica, in quanto struttura oggettiva della realtà, è la scienza, anzi l’unica scienza possibile. Pitagora è il primo intellettuale greco, che, anticipando e preparando la modernità, teorizza la scienza quantitativa, che, a differenza di quella qualitativa dei suoi predecessori, fa della matematica una scienza esatta: esatta sia perché scienza umana, rigorosamente razionale e dimostrativa, garantita dalla razionalità e dalla logica, e perciò universale e necessaria, ed è il fondamento e il modello di riferimento per tutte le discipline nei secoli posteriori fino ad oggi; ed è esatta anche, e soprattutto, perché è una scienza oggettiva e speculare dell’intera Realtà. La matematica, secondo la testimonianza di Proclo, con Pitagora diventa “educazione liberale, ne indaga i primi principi e ne studia i teoremi da un punto di vista astratto e razionale”.
Tra le principali scoperte scientifiche pitagoriche ricordo: in matematica, la teoria dell’irrazionale (“”, alògon), la costruzione delle figure cosmiche, l’incommensurabilità, il quadrato della diagonale di un quadrato è il doppio del quadrato del suo lato, la tavola dei numeri o pitagorica, l’equazione di secondo grado; in fisica, la sfericità della Terra e la sua rotazione intorno a un asse; in astronomia, l’intuizione delle orbite circolari realizzate dagli astri in periodi definiti, l’ipotesi che prelude all’eliocentrismo di un fuoco o focolare al centro dell’universo; in medicina ed in psicologia, Alcmeone di Crotone teorizza che la salute è l’equilibrio di condizioni e forze contrastanti (caldo/freddo, secco/umido, dolce/amaro) e che la malattia deriva dalla rottura dell’equilibrio e dalla prevalenza di un fattore sugli altri, inoltre ipotizza che l’organo più importante dell’uomo non è il cuore (come ritiene la cultura antica), dove viene ubicato l’impulso passionale, ma il cervello che è la sede della ragione immortale, dell’intelligenza, della vita psichica dell’uomo; nella musica, che è spiegata anch’essa con i numeri e la misura, la scoperta che la meccanica dei suoni e le variazioni dei toni sono in rapporto con la lunghezza (e lo spessore) delle corde vibranti.
– Inoltre, la matematica è una sorta di epifania di Dio, ossia la principale manifestazione di Dio nel Mondo, è la sua oggettivazione, la sua espressione più compiuta, perché Dio è strutturalmente ordine geometrico e algebrico, la sua essenza è la matematica: Dio è matematica. La Filosofia di Pitagora si potrebbe considerare una Teologia matematica.
– Infine, la matematica ha una funzione per così dire terapeutica per la purificazione dell’ anima razionale, divina, immortale. La dottrina pitagorica più famosa è quella etico-religiosa della metempsicosi o trasmigrazione delle anime ( metempsychò- sis), che ha i suoi precedenti non in Egitto (come erroneamente riferisce Erodoto), ma presso gli Orfici, Ferecide di Samo, le religioni misteriche ed esoteriche orientali, il Buddismo. La dottrina afferma che l’ anima è non solo la psiche ( psyché) o il respiro dell’uomo, non è solo il suo soffio vitale ( ànemos ), ma è qualcosa di più e di più alto. Essa è di origine e di natura divina, anzi è dàimon , ossia principio divino e, quindi, è immortale. Ma, a causa di una colpa originaria, si deve allontanare dalla Divinità e deve espiare la sua colpa con la pena di un corpo, che per quella è prigione ( soma) ed è tomba ( sema). Se una vita è
sufficiente per l’espiazione, l’anima ritorna alla Divinità. In caso contrario, essa deve incarnarsi (per dieci o venti vite mortali, in un ciclo di tremila anni) in corpi di altri uomini o persino di animali. Pitagora conferma la dottrina della ciclicità ( kyklos) e del ritorno della vita vissuta. Per questo, preferiamo ricordare la dottrina con il termine più proprio di metemsomatosi (metemsomatòsis). Questo spiega probabilmente la prescrizione dell’astinenza dalla carne, dal momento che, per Pitagora, tra uomini e animali c’è una parentela. Nel corso del suo esilio nei corpi l’anima aspira alla catarsi ( kàtarsis) o purificazione” dalle colpe, al fine di poter tornare nell’al di là, ossia alla sua sede d’origine.
Per la purificazione dell’anima Pitagora richiede che la matematica sia il fondamento della vita teoretica, della vita religiosa e della vita politica, che sono le 5 terapie, le 3 vie o le 3 porte per ritornare a Dio.
La vita teoretica e contemplativa (bios theoreticòs) consiste nella sapienza (sofia) o, meglio, nel sapere molto o polumathìe ( che non significa erudizione (come polemicamente interpreta Eraclito), ma, in quanto multi e inter-disciplinarità, è il sapere unitario, organico, sistematico e armonico (che diventa l’ideale della cultura in tempi antichi e attuali). Pitagora è considerato l’inventore della vita teoretico-contemplativa, peraltro nota come la “vita epicurea”, la privilegia, la considera anticipatrice, preparatrice e propedeutica alla prassi, ossia alla vita pratica e politica: bisogna prima saper pensare bene per potere bene agire. Un modello culturale di riferimento per secoli !
La vita ascetico-religiosa è la sapienza iniziatica dei riti religiosi e atti di culto della Comunità/ Setta, è la fede in Dio o il mistero (“”, eusébeia pros Theon, o “”, mystérion), è la pietas religiosa, è la convinzione-certezza che esista una vita ultra terrena, una vita dell’ al di là (“”, eschatòs) e che noi siamo immortali.
E, infine, la vita politica è la vita pratica (“”, politéia, o “”, Bios practicòs): Pitagora è il primo filosofo greco che intende la politica non come un impegno estem- poraneo e marginale dell’intellettuale, ma come elemento integrante delle proprie scelte filosofiche, religiose o, come si dice oggi, di vita. La politica è senso dell’appartenenza alla città, allo stato, alla comunità civile di cui siamo parte e con la quale siamo stretti con vincoli di integrazione e di interazione. La politica è il diritto-dovere di non astenersi, di non assumere posizioni neutre e pilatesche, di non dimettersi da cittadino, ma di partecipare con la vigilanza critica, con lo stimolo della critica, con la proposta migliorativa o alternativa, insomma di contribui- re, con quello che si è e con quello che si fa, a rendere migliore la società e le istituzioni statuali.
La politica è poi quella che permette all’intellettuale di non chiudersi nel suo astratto e spesso inconcludente mondo asettico, ma di collegare strettamente l’impegno teorico-intellettuale ) con l’impegno pratico ( dando completezza e organicità alla sua missione nel mondo, diventando intellettuale civile o, come direbbe Antonio Gramsci, “intellettuale organico”. Soltanto a queste condizioni i filosofi ( possono diventare ed essere riconosciuti i migliori che, proprio perché sono tali, sanno intendere la politica non come potere, ma come servizio all’interesse generale e al bene comune e sanno assicurare allo Stato il buon governo dei dirigenti ( eunomìa).
Il matematico-filosofo, dunque, in quanto anche uomo sapiente e saggio, credente in Dio e buon politico è nelle condizioni ottimali per completare la purificazione della sua anima e per fare ritorno all’unità di Dio.
Soltanto il matematico-filosofo può chiudere il ciclo dall’ éxodos al nostos
In conclusione, il potere evocativo della nostra memoria ha richiamato in vita Pitagora per tessere un filo ideale che ponesse un collegamento tra il fondatore della matematica come scienza e Giuseppe Marino, figlio della terra calabra di Longobucco, il quale, ponendosi all’attenzione della cultura scientifica (il 4° miglior matematico d’Italia e il 95° del mondo secondo l’Istituto di ricerca “Thomson Reuters”), rinnova l’attualità in divenire della matematica pitagorica e ricorda a noi – che perciò ne siamo fieri – e al mondo scientifico che la Calabria ha generato la matematica e anche le scienze, la filosofia, la musica – per le quali vanta un indiscutibile primato – e resta creditrice nei confronti delle nuove moderne generazioni per il lascito e l’eredità, originali e preziosi, di cultura e di civiltà.
Mirto-Crosia, 30 luglio 2014.
Francesco Filareto