E’ fuori pericolo ed ora sta meglio, ma quanta paura e che rischio per il giovane F.C., 40 anni, di Trebisacce, soccorso e salvato presso l’ex ospedale di Trebisacce grazie, oltre che alla perizia degli operatori sanitari, alla concomitanza di circostanze favorevoli. I fatti: sabato scorso, alle ore 13.30, il giovane, in preda a evidenti segni di sofferenza cardiaca viene accompagnato al PPI in gravi condizioni. Il medico di turno, ravvisata la gravità, convoca subito lo specialista di servizio presso l’ambulatorio di Cardiologia e insieme a lui praticano al paziente tutte le metodiche previste dal protocollo. La situazione però si aggrava ed il giovane, già cianotico in viso, va in arresto cardiocircolatorio tanto che i familiari del giovane, disperati, pensano di allertare un anestesista-rianimatore loro amico che corre presso il PPI pur non essendo né in servizio né reperibile. Tutti tre i medici, facendo squadra, si adoperano in tutti modi e attraverso la ventilazione e le altre tecniche previste in questi casi, riescono a rianimare ed a stabilizzare il giovane affidandolo al medico del 118 che, allertata nel frattempo l’eliambulanza, lo trasferisce in codice rosso presso l’Annunziata di Cosenza dove è tuttora ricoverato, ma fuori pericolo. In realtà salvare una vita umana, anche in condizioni di emergenza-urgenza, non dovrebbe fare notizia perché rientra tra i compiti di un presidio ospedaliero. Il problema è che il “Chidichimo” non è più un ospedale e il caso del giovane, salvato per i capelli anche per circostanze favorevoli, ne è l’esempio più lampante: se il fatto si fosse verificato nel tardo pomeriggio, o peggio ancora, di notte, al CAPT il giovane avrebbe trovato solo un medico e un infermiere: niente cardiologo e niente anestesista-rianimatore e a quest’ora forse il cronista sarebbe qui a scrivere un’altra storia di mala-sanità. Ecco perché i giudici togati, certamente più responsabili dei politici, hanno sentenziato la riapertura del “Chidichimo”. Almeno per le emergenze-urgenze.
Pino La Rocca