LE VICENDE AMMINISTRATIVE E GIUDIZIARIE DEL REFERENDUM PER LA FUSIONE DEI COMUNI DI COSENZA, RENDE E
CASTROLIBERO: LE RAGIONI (FORMALI) DEL DIRITTO (RECTIUS: GIUSTIZIA) E LE ESIGENZE (SOSTANZIALI) DELLA DEMOCRAZIA.
1. Nella mia veste di operatore del diritto, umile e modesto frequentatore di aule
giudiziarie, distratto lettore di testi giuridici e, quindi, tecnico mediamente istruito,
tendenzialmente avvezzo ad affrontare questioni giuridiche che attengono all’analisi dei
sistemi elettorali e, più in generale, alla disciplina del rapporto tra il potere pubblico e le
posizioni giuridiche dei cittadini (id est: tra Giustizia e Democrazia), mi sono lasciato
sedurre dalle vicende – amministrative e giudiziarie – che hanno riguardato la proposta di
fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero.
2. Come noto, la Regione Calabria ha avviato l’iter amministrativo per la “Modifica dei confini
territoriali dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero della provincia di Cosenza”, al fine di istituire il “nuovo Comune derivante dalla fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero” e, a tal fine,
ha indetto il prescritto referendum consultivo obbligatorio che si svolgerà il 1° dicembre 2024.
3. In particolare, il Presidente del suddetto Ente territoriale ha adottato il decreto
presidenziale n. 59 del 9.10.2024 per indire la consultazione referendaria in questione, in
esecuzione della delibera di Giunta regionale n. 533 del 7.10.2024 e della presupposta
deliberazione del Consiglio regionale n. 308 del 26.07.2024, emanata sulla scorta della
proposta di legge regionale n. 177/12 del 24.04.2023, prot. n. 8391, avente ad oggetto:
“Istituzione del nuovo Comune derivante dalla fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero”.
4. I succitati atti sono stati gravati dinanzi al T.A.R. Calabria, sede di Catanzaro, con tre
distinti ricorsi, spiegati – rispettivamente – dal Comune di Cosenza, dal Comune di
Castrolibero e da diversi comitati ed associazioni contro la fusione, con contestuale istanza
di adozione della misura cautelare della sospensione degli atti impugnati, al fine di
paralizzare lo svolgimento – imminente – del relativo referendum consultivo obbligatorio.
5. In data 06.11.2024 si è svolta l’udienza cautelare, in camera di consiglio, dei tre ricorsi
suindicati e, il successivo 8 novembre, il Giudice Amministrativo Calabrese ha pubblicato
le ordinanze “gemelle” nn. 684, 685 e 686, aventi pari data, con le quali ha rigettato le
istanze di tutela interinale, ivi precisando che:
a) “la scelta operata dalla Regione di indire il referendum, consultando le popolazioni dei Comuni
interessati dal progetto di fusione, appare prima facie rispettosa del richiamato regime giuridico di matrice
costituzionale, ordinaria e regionale”;
b) ”sotto concorrente profilo, nella ponderazione comparativa tra gli interessi dedotti in giudizio, quello
allo svolgimento del referendum è da considerarsi preminente e ciò in quanto il medesimo referendum postula
in ogni caso una consultazione diretta delle popolazioni interessate, l’esito dello stesso non ha contenuto
vincolante e comunque il relativo risultato sarebbe travolto in sede giurisdizionale, ove nell’approfondimento
proprio della fase di merito dovesse emergere la fondatezza dei rilievi di parte ricorrente e la conseguente
illegittima scelta della Regione”;
c) “di contro, la concessione della misura cautelare richiesta priverebbe di fatto il decreto di indizione,
stante l’imminente consultazione fissata all’1.12.2024, in via pressoché definitiva dei relativi effetti”.
6. I richiamati punti delle ordinanze gemelle de quibus mi hanno suscitano alcune perplessità
e, per tale ragione, ho voluto svolgere alcune riflessioni che ripropongono il complicato
rapporto tra politica e diritto (rectius: Giustizia), al netto delle posizioni – più o meno valide
– sull’opportunità, eminentemente politica, di realizzare la fusione tra i Comuni interessati.
A prescindere dalla discutibile manifestazione di una volontà politica, formalizzata in
un’azione giudiziaria tesa a paralizzare il legittimo esercizio di uno strumento di
democrazia diretta e, quindi, volta a precludere ai cittadini di esprimersi su una questione
fondamentale per il loro futuro, mi limiterò ad alcune considerazioni tecnico-giuridiche.
I provvedimenti giurisdizionali in questione hanno rinviato la definitiva decisione
giudiziaria, a mio modesto avviso improcrastinabile, soprattutto alla luce dei prevedibili e
non trascurabili scenari futuri, i quali ripropongono – chiaramente – l’ancestrale questione
del necessario e delicato bilanciamento tra le ragioni (formali) del diritto (rectius: Giustizia)
e le esigenze (sostanziali) della democrazia.
7. Segnatamente, dalla lettura delle succitate ordinanze cautelari emerge che il Collegio
decidente ha statuito, con una sommaria valutazione e delibazione, propria della fase
cautelare, l’apparente legittimità degli atti gravati, lasciando ovviamente impregiudicata la
necessaria valutazione approfondita degli stessi, insita nella successiva fase di merito,
ribadendo che la decisione definitiva potrebbe “travolgere” l’esito referendario positivo.
Ciò posto, il primo scenario che si può agevolmente immaginare è quello di un risultato
referendario pro fusione e una successiva decisione giurisdizionale che – praticamente – ne
annullerebbe gli effetti, rendendo l’esito referendario tamquam non esset.
Sarebbe un epilogo che, pur affermando – in modo assolutamente legittimo – il potere
giurisdizionale, mortificherebbe eccessivamente la suprema volontà popolare.
8. Sarebbe stato auspicabile – a mio modesto avviso – che il Giudice Amministrativo, anche
ai sensi dell’art. 55, comma 10, del codice del processo amministrativo, ovvero con
l’emissione di una sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 74 del medesimo codice,
definisse definitivamente la questione prima della manifestazione e la contestuale
formalizzazione della volontà popolare.
Sarebbe stato un atto rispettoso del procedimento elettorale, anche se referendario,
caratterizzato da preminenti esigenze di certezza e celerità, peraltro valorizzate dal
legislatore delegato con l’emanazione della disciplina relativa al – diverso ma mutuabile –
giudizio avverso gli atti elettorali preparatori, contenuta nell’art. 129 c.p.a.
La predetta disciplina, frutto di un’apprezzabile e condivisibile scelta politica, prevede un
ridotto termine di tre giorni per spiegare il ricorso avverso gli atti preparatori del
procedimento elettorale preparatorio, nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, con
un’ulteriore termine di soli tre giorni per la fissazione dell’udienza e la contestuale
pronuncia della sentenza definitiva, in forma semplificata, nello stesso giorno.
9. In tal modo, con un atto di “autoridimensionamento” del potere giudiziario, si poteva
dimostrare delicatezza e sensibilità nell’esercizio – necessario ed inevitabile – di un illimitato
potere pubblico che, spesso, incide sulle vicende politiche e sulla manifestazione di volontà
del popolo, quale – apparente – depositario della Sovranità Popolare.
Claudio Roseto