Giornalista, scrittore, fondatore del mitico locale intitolato al brano di Coltrane, in cui si sono esibiti i big del mondo, rientra con tanta voglia di fare, nella sua Vaccarizzo Albanese.
Michele Minisci è un calabro-arberesh di Vaccarizzo Albanese (Cs), trasferito a Forlì nel 1972 dopo aver frequentato l’Università a Bologna e Ferrara, ed essersi laureato in Giurisprudenza. Affacciatosi al mondo del lavoro, ha dapprima ricoperto l’incarico di capo sezione affari generali al Comune di Ravenna, e ben presto ha “virato” verso il giornalismo (per diversi anni a l’Unità, Paese Sera, Ansa), quindi addetto stampa e Pr. per il movimento cooperativo forlivese, e poi ancora direttore di Radio Flash, una delle emittenti locali più diffuse nel territorio romagnolo.
È stato socio fondatore del quotidiano locale “Corriere Romagna”, e poi ancora, e soprattutto, ineguagliabile signore degli impresari musicali, amico e “seduttore” delle star con diverse delle quali ha instaurato forti legami di amicizia, e superdirettore artistico del “Naima club”, uno dei jazz club più rinomati del nostro Paese (il suo nome, dalla celebre composizione di John Coltrane), da dove sono passati nel corso di trent’anni di attività, esattamente 7.335 musicisti da tutto il mondo. Un’enormità. Con oltre 325.000 spettatori complessivi, provenienti da tutt’Italia e oltre. Attualmente ricopre la carica di direttore artistico di “Naima Fondation”, una nuova Associazione culturale con l’intento di promuovere anche in Calabria tutta una serie di grandi artsti.
Come direttore artistico e manager del Naima club, Minisci ha organizzato concerti di alto livello artistico e qualitativo, con famose band americane ed inglesi, diversi festival ed eventi tematici come il “Concorso Nazionale Gruppi Jazz Emergenti” da dove sono passati giovani jazzisti oggi famosi (Paolo Fresu, Roberto Gatto e Rita Marcotulli, tra gli altri), quindi il Festival di voci femminili denominato “Le cantantesse” in collaborazione con l’UDI, da cui sono emerse cantanti di livello come Olivia Foschi, oggi nota in quel di New York, e Lisa Manara che spesso duetta con Gianni Morandi, e poi il “Ravenna blues festival” e “Forlì jazz festival” dedicato a Chet Baker, il maudit della tromba, mistico intimista e terrigno re del cool, che Minisci ha portato ad esibirsi al Naima nel 1984.
Con lui, ancora, il festival di musica etnica “Sconfinando” in collaborazione con AICS-la Nave del Blues sulla Riviera Adriatica. La “Carovana del Blues” sulla via Emilia, da Rimini a Bologna. La “Nave del Blues” in Albania. Il festival “La Musica del ‘900” con il Comune di Forlì. “Atrium-la Carovana del blues” da Forlì a New Orleans. Il “Naim-a tour” in Albania, in collaborazione con IOM (International-Organization-Migration), Ministero degli Esteri e dello Sviluppo Economico del Governo italiano, Ministero della Diaspora del Governo albanese.
Sotto la sua direzione il Naima jazz club è stato prescelto da famosi musicisti italiani ed internazionali per la registrazione di loro live: come il dvd dei celeberrimi “Yellow Jackets” inciso per il loro 25° anniversario di attività; il cd “LiveVolvo” di Vinicio Capossela; “Live at Naima club” della Schizoid Band, nucleo storico dei King Crimson. Di recente è stata rintracciata la registrazione del concerto del mitico Chet Baker al Naima club, nel marzo del 1984. Un prezioso reperto.
“Credo che, in primo luogo, il Naima, oggi Naima Fondation, appartenga moralmente e simbolicamente ai musicisti di tutto il mondo e agli spettatori amanti del jazz e del blues che sono venuti a suonare e ad ascoltare questa grande musica nella piccola città di Forlì, in uno spazio-sogno in cui hanno creduto in tanti, a cominciare da chi l’ha inaugurato, il grandissimo Chet Baker, astro splendente di quella musica che ci ha fatto crescere dentro, tra desideri, sogni, vittorie e sconfitte che hanno avuto la luce del palcoscenico e i bicchieri per brindare o dimenticare” – spiega con una punta di commozione Minisci.
La storia del Naima jazz club, dal 1983 al 2013, è poi quella di quarant’anni di sfide regolarmente combattute contro ogni evidenza e buon senso. Un’avventura. Una passione, Una speranza. Ma per seguire appunto un sogno, il buon senso e l’evidenza non servono… E se molti si sono premurati di spiegare che i mulini a vento non sono giganti, i giganti veri Michele li ha portati lì a suonare. Così il Naima ha dato senso ad un luogo. Ha fatto di Forlì una città “molteplice” come sono tutte le città ad alta caratura culturale, somma di molte e stratificate piccole metropoli.
“Se chiudi gli occhi, mentre ascolti, ad esempio, proprio Naima, di John Coltrane – ebbe a scrivere Carlo Lucarelli – riesci a immaginartelo, lui, gli occhi serrati e quella postura elegante, quel suo modo di riempire lo spazio discreto, e ti immagini pure gli occhi chiusi di Cedar Walton che costruisce accordi sulla tastiera del piano, e il sudore che gli scivola sulla fronte e sulle tempie, puoi quasi sentirne l’odore. Ecco, è l’odore del jazz, quello. E non ha niente a che fare con qualche asettica registrazione in uno studio, ripulita dalle imperfezioni, lucidata a specchio, e l’odore acido del vinile o quello opaco di un cd. L’odore del jazz è fatica, muscoli, e poi il fumo denso di decine di sigarette che si raccoglie in una nuvola ferma proprio lì, al centro di una stanza dove un certo numero di persone sta condividendo un’esperienza che è al tempo stesso spirituale e carnale. C’è il sudore, il fumo, il tintinnio dei bicchieri, il frusciare di corpi che si spostano sulle sedie. Perché il jazz non è quel genere di musica che può essere suonata esclusivamente in un teatro, con il pubblico immobile a distanza di sicurezza, il jazz è una musica da contatto fisico, da distanze che si accorciano, sguardi che si incontrano. Ecco, il jazz non potrebbe esistere senza i suoi luoghi. Mi verrebbe quasi da dire che i posti in cui si fa, si condivide il jazz, sono come dei templi. Bene, questa è la storia di uno di quei templi. Che si chiama, guarda un po’, proprio Naima, e si trova a Forlì”.
Per tutta questa intensa, qualificata ed unica attività nel panorama italiano, Michele Minisci – che lascia ora Forlì per tornare dopo quasi cinquant’anni nella sua amata Calabria – è stato insignito della Medaglia d’Oro al Merito dalla Camera di Commercio di Forlì, unico rappresentante del mondo culturale e musicale cittadino, e gli sono state dedicate due tesi di Laurea di una studentessa di Ravenna laureata all’Università Statale di Milano, e di uno di Macerata laureato all’Università di Urbino.
Dopo aver scritto diversi anni fa il libro “La notte che si bruciò il Jazz” (Ponte Vecchio Editore), con la prefazione di Renzo Arbore e dello scrittore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli, e la postfazione di Vinicio Capossela, da poco Minisci si è cimentato in nuovo libro dal titolo “Castrocaro-Sanremo. Solo andata” (Capire Edizioni): un racconto-saggio sul festival “Voci Nuove di Castrocaro”, il primo e famoso vero talent della musica leggera italiana, focalizzando la sua attenzione sui primi trentuno anni, dal 1957 al 1988, quando c’era l’abbinamento col prestigioso festival di Sanremo (chi vinceva a Castrocaro, andava a Sanremo) e la diretta Rai sul primo canale, intervistando tutti i vincitori. Grazie a questo libro, il Festival “Voci Nuove” di Castrocaro è stato inserito nel Portale della Canzone Italiana del Ministero della Cultura.
Due anni fa ha promosso e coordinato un suggestivo progetto del Governo albanese con altri soggetti internazionale come l’IOM, foriero di altre collaborazioni in progress, aperte anche alla sua Calabria Arbereshe.
“Aperto un ponte tra Forlì e Argirocastro-Permet”, hanno titolato i giornali raccontando del progetto che ha operato nell’antichissima area di Argirocastro e di Permet (Albania meridionale), prioritaria per la Cooperazione italiana, in stretta collaborazione con il Cesvi, un Cso che opera lì dalla fine degli anni ’90. Cesvi è stato ed è un promotore attivo del marchio “Made with Italy” (fatto con l’Italia) e un grande e variegato numero di beneficiari locali di questo marchio è attualmente assistito e promosso da questa associazione, magistralmente diretta da circa venti anni da Giorgio Ponti, di origini reggiane, e dal suo efficientissimo staff.
“Questo primo tour ha inteso promuovere, valorizzare e capitalizzare alcuni importanti risultati attraverso la proposta di un patrimonio culturale comune interscambiabile e un tour storico responsabile che porterà a breve alla definizione di una proposta per nuove categorie di Made with Italy: come il ‘Patrimonio culturale’ – spiega Minisci -. L’area di Permet è una tra le più adatte al turismo responsabile (www.visitpermet.org), con un numero crescente di turisti negli ultimi cinque-sei anni (l’anno scorso ha avuto più di ventimila turisti, secondo i dati comunali), con un consorzio locale molto attivo di operatori economici e turistici (Pro Permet Consortium) e con numerosi progetti finanziati”.
“Questo progetto, considerato il successo ottenuto e l’entusiasmo che ha suscitato, promuoverà uno scambio attivo di know-how italo-albanese e il marchio made with Italy in Italia tra la diaspora albanese e gli operatori turistici italiani responsabili, con gli emiliano-romagnoli in prima fila. Il viaggio responsabile è anche un importante vettore di sviluppo per i Paesi ‘svantaggiati’, in quanto i suoi effetti sociali, economici e culturali sono molto più coerenti, diretti e duraturi di quelli prodotti dal turismo incalzante, e i gruppi e le Associazioni forlivesi coinvolti in questo progetto hanno risposto egregiamente a queste caratteristiche, e a queste finalità. Sarà l’inizio di una lunga e proficua collaborazione” – conclude ipotizzando per questo nuovo anno (2024) anche il coinvolgimento dei dieci Comuni che fanno parte dell’”Arberia Arbereshe” della Calabria, nell’alto Jonio, terra di origine del vulcanico Michele Minisci.
Da Calabria Mundi
Rivista online diretta dall’editore-giornalista Roberto Messina