Sono Pietro Groccia sacerdote della diocesi di Cassano All’Ionio e Parroco della Sibaritide. Nella consapevolezza che il credente ha un rapporto singolare con la civitas humana e deve operare nel tessuto cainico e disgregante come portatore della città nuova che viene dall’alto,
ma s’incarna, pur nelle tribolazioni, nel campo della zizzania onde essere nella linea dell’incarnazione segno del contrario e lievito della novità evangelica, con questa lettera aperta mi rivolgo a Voi Uomini e Donne delle Istituzioni per sollevare non un problema qualunquistico ma una questione seria: dalla cronaca degli ultimi giorni emerge con insistenza una notizia che minaccia il futuro della storica stazione ferroviaria di Sibari che da sempre rappresenta un fondamentale snodo per i collegamenti con la linea tirrenica; allo stato attuale è l’unico nesso ferroviario in attività di tutta la pianura omonima; essa riveste ancor più un ruolo significante in considerazione della grave mancanza in materia di collegamenti, l’Alta Velocità di cui attualmente dispone è competitiva rispetto all’aereo non solo per costi, ma per la comodità di portare le persone dritti nel cuore delle città, la stazione, poi, è situata nel cuore di un territorio a forte inclinazione turistica per la raffinatezza delle sue coste, per il fascino delle sue colline, per il clima mite e solare che la circonda, per la espansiva accoglienza della gente che la abita. Sibari, dove l’arrivo dei binari risale al 1874, era a inizio Novecento una “città ferroviaria”, questa ha dato lavoro e benessere all’intero territorio attirando la nascita di un nuovo quartiere residenziale dando impulso allo stanziamento di nuovi abitanti le cui esigenze spirituali portarono alla nascita della chiesetta di san Giuseppe della quale quest’anno ricorre il centenario della fondazione.
Con l’arrivo delle strade ferrate, ancora prima dello sviluppo del turismo balneare, le coste sibarite cambiarono la loro funzione: non più baluardi contro le scorrerie, ma zone di sviluppo.
Sibari è stata nel suo glorioso passato luogo di incontro e di mediazione, tra soggettività storica e verità, finito e infinito, pensiero e azione, particolare e universale, molteplice e unità, slancio vitale e senso della natura, da una parte, capacità astrattiva e concettuale, dall’altra. La tradizione culturale Occidentale, affonda le proprie radici nelle rive dello Jonio in quell’intreccio di civiltà dove è nato il nostro modo di pensare e di vedere il mondo, la nostra logica e la nostra ontologia. È ancora attorno a questo mare che è nata la “filosofia”, la letteratura, il concetto di “polis”, i primi ordini che hanno definito e consolidato molte civiltà politiche.
Riappropriarsi di tali ricchezze del passato, non significa ritornare nostalgicamente ad epoche lontane, quanto piuttosto recuperare stili di vita, esperienze ed insegnamenti che provengono dal passato e che potrebbero essere utili per affrontare ed eventualmente attenuare le emergenze attuali.
Il nostro vescovo non manca con prese di posizioni molto dure ad esortarci ad ascoltare attentamente le voci che si levano dalla nostra terra, che insieme al cantico che inneggia alla sua incomparabile bellezza, contengono anche lo stridore di forti lamenti che vengono da tante storie di sofferenza che nascono da un diffuso indifferentismo antropologico.
Oggi questa stessa terra fertile e lussureggiante, che un tempo ha scomodato Pitagora, nella storica contesa con i Crotonesi, chiede di NON SUBIRE ULTERIORI OLTRAGGI: l’eventuale soppressione dello scalo ferroviario rappresenterebbe un suicidio medicalmente assistito che amputerebbe ulteriormente gli arti ad un territorio già di per sé alquanto claudicante, con nefaste ricadute in primis sulla dignità degli uomini e della storia, poi sul diritto alla mobilità che potrebbe seriamente compromettere la naturale vocazione turistica della nostra terra penalizzando ancora un economia che già da tempo mostra i segni di una severa depressione. Le ferrovie rappresentano uno strumento che l’umanità aspettava non solo per affrancarsi da secoli di miserie, ma per collegare finalmente distanze troppo grandi da percorrere, unire popoli, mentalità e sentimenti. E tuttora conservano questa tipicità.
Per concludere se qualcuno dovesse chiedermi cos’è Sibari non esiterei a risponde parafrasando le parole del noto sociologo Barese Franco Cassano: “Sibari non è un’identità monolitica, ma un multiverso che allena la mente alla complessità del mondo, agli ibridi, agli incroci, alle identità che non amano la purezza e la pulizia, ma conoscono da tempo la mescolanza”.
Allora unendomi al coro di tutti coloro che in questi giorni stanno alzando la voce -Istituzione e non – per evitare tale misfatto dico agli uomini delle Istituzioni: Nessuno tocchi Sibari e la Sua storica stazione ferroviaria perché Sibari non è di Cassano All’Ionio, non è della Calabria, non è dell’Italia ma è del Mondo proprio perché come dice Franco Cassano è un “Pluriverso” in cui Nord e Sud del mondo possano rinvenire la propria misura, non a partire dalla disumana forza della potenza tecnica ed economica, ma dal riconoscimento dell’inestimabile ricchezza delle proprie tenaci diversità.
Pietro Groccia
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