A distanza di quasi quattro anni (6 febbraio 2019) Andrea Landolfi Cudia, 33 anni, di Roma, accusato di aver provocato la morte di Maria Sestina Arcuri, 26 anni, di Nocara, facendola precipitare per le scale,
è stato condannato in appello a 22 anni per il femminicidio della fidanzata. La sentenza della Corte d’Appello ha ribaltato il giudizio di primo grado emesso dal Tribunale di Viterbo nel quale il Landolfi era stato assolto. In lacrime e straziata dal dolore per la tragica morte della sua adorata figlia femmina, la madre di Sestina, Caterina Acciardi, 56 anni, che ha assistito al processo svoltosi presso la Corte d’Appello di Roma insieme ai due figli Domenico e William e all’Avvocato Vincenzo Luccisano. Quest’ultimo, nel commentare la sentenza, ha parlato di “prove schiaccianti” di cui la Corte non poteva non tener conto. Siccome nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, il Landolfi, che è stato in carcere per quasi due anni prima dell’assoluzione di primo grado e che tramite il suo legale ha già fatto sapere che ricorrerà in Cassazione, non tornerà dunque in carcere fino alla sentenza definitiva. “Ora ho la certezza che mia figlia è stata uccisa e che sono emerse responsabilità che escludono la caduta accidentale, ma apprendere – ha detto tra le lacrime la Signora Caterina Acciardi – che mia figlia è stata uccisa dal fidanzato, aumenta ancora di più la mia sofferenza e quella della mia famiglia”. Ricordiamo, per la cronaca, che Maria Sestina Arcuri e Andrea Landolfi, nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 2019 erano a casa della nonna di lui, a Ronciglione in provincia di Viterbo, quando, secondo l’accusa, l’uomo, 33 anni, di Roma, durante un litigio avrebbe spinto la fidanzata giù dalle scale provocandone la morte per le gravi lesioni riportate nella caduta. La 26enne Sestina, originaria di Nocara e che per ragioni lavorative in quel periodo si trovava nella Capitale, è deceduta un paio di giorni dopo presso l’Ospedale di Viterbo. Dagli accertamenti è poi emerso che l’ambulanza era stata chiamata quattro ore dopo la caduta. Sette mesi dopo i fatti, una volta depositata l’autopsia, sono scattate le manette per l’uomo. Dall’esame era emersa l’ipotesi che la ragazza potesse essere stata lanciata dalla scale. Per questo motivo l’uomo era rimasto in carcere dal 25 settembre 2019 fino al 19 luglio 2021 quando, a seguito della sentenza di primo grado, era stato rimesso in libertà. Il grave fatto di cronaca, di cui si sono occupati ampiamente i media di tutto il Lazio, ha fatto scalpore e rattristato non poco tutta la comunità del piccolo centro montano dell’Alto Jonio dove la famiglia è molto conosciuta e stimata. “Siamo soddisfatti per l’esito del processo; – ha commentato così la sentenza l’avvocato Vincenzo Luccisano – per la famiglia giustizia è stata fatta, ma c’è poco da festeggiare e da essere felici. Questa non è certo una vittoria”.
Pino La Rocca