Vincenzo Padula, informato dal suo corrispondente di Paludi, scriveva tra il 1870 e il 1880: “Grotta. Lunghissima, nessuno ne ha veduto ancora il fondo. Si chiama la Grotta di Castiglione. Vi han trovato un corpo umano di bronzo e un braccio. In quei pressi son 2 ruscelli, S. Martino e S. Elia. Sopra la grotta son le rovine di Castiglione”.
Così il contadino Giuseppe Marincolo di Paludi nel 1914 schizzava su carta il territorio del comune indicandone i torrenti, i monti, i confini con i comuni vicini, le contrade. Posizionava e indicava chiaramente l’Antica città di Castiglione distrutta e, disegnando l’entrata della grotta, la nominava Tesoreria.
Tutto ciò a conferma che quanto affiorava dal terreno nella contrada Castiglione era conosciuto dalla popolazione paludese che con fantasia ha visto nella grotta il luogo del “tesoro” nascosto.
Anni fa alcuni giovani al servizio temporaneo del Comune di Paludi hanno, tra l’altro, “intervistato” alcuni operai che negli anni Cinquanta (cantieri di lavoro: 1953-1954-1956) avevano lavorato e “scavato” a Castiglione guidati dall’archeologo Giuseppe Procopio.
Il capo operaio Pasquale Madeo ha dichiarato, tra l’altro,:
“La cosa che destava la nostra curiosità, soprattutto per le vicende che si raccontavano, era l’esistenza di una grotta all’interno della zona archeologica. Per questo motivo, un giorno decisi io ed altri due operai di esplorare di nostra iniziativa l’interno di questa grotta. Per arrivare all’ingresso dovevamo aprirci un varco tra rovi ed arbusti vari. Trovammo così una gradinata di circa 23-24 gradini, la quale scendeva fino a raggiungere una specie di androne, perfettamente scolpito nella roccia arenaria, che faceva da pre-ingresso alla grotta vera e propria.
Subito dopo entrammo muniti di una torcia elettrica e dopo aver fatto circa 20 metri in lieve discesa trovammo una stanza ricavata nella roccia di metri 11×6 circa dove erano abbastanza chiari i segni di picconi. In questa stanza vi erano altre due aperture una a destra e l’altra a sinistra che introducevano in altrettanti ingressi pure questi in discesa. Dall’ingresso di destra proveniva una corrente d’aria tanto che uno dei miei operai non riuscì a confezionarsi una sigaretta perché gli volò di mano la cartina.
La nostra esplorazione non potè più aver seguito perché il terreno era melmoso e proseguire poteva diventare pericoloso. Il giorno successivo mettemmo al corrente il Dottor Procopio di questa nostra iniziativa”.
L’operaio Leto Gildo ha dichiarato:
“Già prima che incominciassero i lavori nella zona archeologica si sapeva dell’esistenza di questa grotta tanto che su questa e non solo si facevano diverse ipotesi ma si fantasticava anche sulla esistenza di favolosi tesori.
Durante gli scavi all’insaputa del direttore dei lavori nel lasso di tempo che ci veniva concesso come relax, io ed altri due colleghi decidemmo di esplorare fin dove ci era possibile quella famosa grotta. Una volta addentratici nella grotta ci siamo resi conto che ci dovevano essere delle correnti d’aria, visto che una sigaretta accesa da uno di noi si consumò molto rapidamente.
Nella parte ovest della zona archeologica al disotto del teatro, in una parete rocciosa a strapiombo, abbiamo intravisto una piccola finestrella. Questa ci fece supporre che si trattasse di una uscita della famosa grotta (nonostante la notevole distanza da questa) visto che per l’inaccessibilità del posto ci sembrava impossibile che fosse stata scavata dall’esterno.
Il dottor Procopio non ci volle fare entrare in questa finestrella per motivi di sicurezza dato che per accedervi bisognava calarsi con la fune. Il dottor Procopio diceva che nella grotta ci poteva essere il pavimento a rullo: una specie di trabbocchetto che avrebbe fatto precipitare colui che vi si fosse addentrato”.
Palmino Maierù
2/3/2019