Guerra di ‘ndrangheta: sospeso il giudizio definitivo per “Dentuzzo” e “Occhi di ghiaccio”. Confermate le altre condanne

Nella tarda mattinata di ieri i giudici della quinta sezione penale della suprema Corte di Cassazione hanno messo la parola fine – almeno in parte – sul maxiprocesso “Timpone rosso” contro la ‘ndrangheta jonica della provincia di Cosenza.

Al vaglio dei massimi giudici dell’ordinamento italiano due soltanto gli ergastoli rimasti in piedi – e divenuti definitivi – dei quattro inflitti tra il nugolo d’imputati alla sbarra dinanzi alla Corte d’Assise d’appello di Catanzaro il 12 luglio del 2014. E sono le condanne al carcere a vita nei confronti di Francesco Abbruzzese alias “’U pirolu”, di Cassano Jonio, e di Ciro Nigro, di Corigliano Calabro.
Gli “ermellini” del “palazzaccio” romano di Piazza Cavour hanno infatti clamorosamente “stralciato” le sentenze di condanna all’ergastolo nei confronti di Franco Abbruzzese inteso come “Dentuzzo”, ritenuto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro capo indiscusso del locale cosiddetto “degli zingari” con base operativa Cassano, e nei confronti di Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio”, ritenuto a capo della sottoposta ‘ndrina attiva ed operante a Rossano.
Per “Dentuzzo” ed “Occhi di Ghiaccio” è stato infatti sospeso il giudizio, in attesa che una diversa sezione della Cassazione si pronunci sulla ricusazione d’uno dei giudici della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro che li aveva già in precedenza giudicati per associazione mafiosa.
Confermata, invece, l’assoluzione decretata dai giudici d’appello nei confronti di Damiano Pepe alias “Tripolino”, di Corigliano, il quale un anno e mezzo fa s’era visto cancellare l’ergastolo inflittogli in primo grado dalla Corte d’assise di Cosenza. Confermate, pure, le assoluzioni d’alcuni altri imputati usciti di scena nel grado d’appello.
Per tutti gli altri la Cassazione ha confermato le condanne dai ventisette agli otto anni di reclusione. Si tratta di: Giovanni Abbruzzese alias “’U cinese”, Nicola Abbruzzese alias “Semiasse”, Domenico Madio alias “’U pilu iancu”, Mario Bevilacqua alias “Maruzzo”, Armando Abbruzzese alias “Andrea”, Antonio Abbruzzese, Antonio Abbruzzese alias “Tonino figlio di Banana”, Domenico Bruzzese, Fioravante Bevilacqua, Fioravante Abbruzzese alias “Banana”, Cosimo Bevilacqua, Fiore Abbruzzese alias “Ninuzzo”, tutti di Cassano; Maurizio Barilari, ritenuto a capo della ‘ndrina attiva ed operante a Corigliano, Fabio Antonio Falbo, anch’egli di Corigliano; i collaboratori di giustizia Pasquale Perciaccante, di Cassano, Carmine Alfano e Vincenzo Curato di Corigliano.
Riconosciuti colpevoli d’avere organizzato e compiuto una serie di plateali agguati mortali quasi tutti consumati a colpi di kalashnikov, arma da sempre “prediletta” dagli azionisti del locale “degli zingari”. Azioni di morte che tra il 1999 e il 2003 hanno bagnato di sangue l’intera Piana di Sibari lasciando sul campo d’una cruenta guerra di ‘ndrangheta ben dieci morti ammazzati.
Il primo agguato mortale risale al 6 gennaio del 1999, quando all’ingresso della frazione Lauropoli di Cassano, vennero spediti all’altro mondo Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito. Poi toccò a Gianfranco Iannuzzi, scomparso per lupara bianca a Cosenza il 16 aprile del 2001 e ritrovato cadavere molti anni dopo grazie alle confessioni del collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante. Di seguito scattò l’eliminazione di Giorgio Cimino – padre dei due collaboratori di giustizia di Corigliano Giovanni ed Antonio Cimino – vittima d’una vendetta trasversale compiuta a Corigliano il 24 maggio 2001. Il 25 marzo del 2002 vennero invece trucidati, in un plateale agguato compiuto a colpi di kalashnikov, a Corigliano, lungo la Statale 106, Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana. Poco più d’un mese dopo, il 28 aprile, toccò all’imprenditore Gaetano Guzzo, ucciso a Cassano. L’anno successivo finì di campare Antonio Acquesta, scomparso da Cassano per lupara bianca il 27 aprile del 2003. E, per finire, Sergio Benedetto e Fioravante Madio, falciati dai kalashnikov il 16 giugno dello stesso anno a Cassano. Madio morì per sbaglio, vittima del “fuoco amico”: faceva parte del “commando” incaricato di far fuori Benedetto e il cugino, Rocco Milito, il quale invece si salvò.