Ai domiciliari per motivi di salute. Il capo indiscusso del Locale jonico, condannato definitivo a ben tre ergastoli, oggi ha 76 anni
È tornato da alcuni giorni nella propria abitazione di Schiavonea, la Marina di Corigliano Calabro, nel Cosentino, l’irriducibile superboss della ‘ndrangheta jonica Santo Carelli. Già. Dopo quasi ventitrè anni trascorsi ininterrottamente in carcere, dapprima ad Ascoli Piceno e poi nel penitenziario di Rebibbia a Roma, dal 18 settembre del 1996 in regime di 41-bis. Ma a disporre la scarcerazione di Carelli sono stati i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Sulmona, in Abruzzo. Nel cui carcere, Carelli, per motivi di salute, ha trascorso l’ultimo breve periodo di detenzione dal momento che quella struttura penitenziaria dispone d’alcune specialità mediche adatte alle cure del suo caso.
Ma Carelli, considerati pure i suoi 76 anni d’età, proprio per tali motivi di salute è risultato incompatibile col regime carcerario, e i giudici hanno quindi disposto nei suoi confronti la detenzione domiciliare presso la propria residenza, a Corigliano Calabro. L’anziano padrino era detenuto dal 17 febbraio del 1993, quando di anni ne aveva 54.
Capo indiscusso del Locale ‘ndranghetista di Corigliano Calabro, Santo Carelli è condannato in via definitiva a ben tre ergastoli per associazione mafiosa e reati ad essa collegati tra cui plurimi omicidi ed estorsioni. L’ultima sentenza di condanna definitiva nei suoi confronti l’aveva pronunciata la Corte di Cassazione il 22 giugno del 2006.
Insignito del grado ‘ndranghetista della “Santa”, «cioè d’un ruolo duraturo
all’apice dell’organizzazione criminale d’appartenenza che non viene certamente meno, essendo al contrario amplificato, a causa della detenzione» (così la Corte di Cassazione il 7 luglio del 2005).
Tra i delitti per i quali è stato condannato spicca in particolare quello di Mario Mirabile, ammazzato a colpi di fucile mentre era alla guida della sua Bmw alle otto del mattino del 31 agosto del 1990 nei pressi del bivio per la frazione Thurio di Corigliano Calabro. Mirabile era il cognato del rivale storico di Santo Carelli, “don” Peppino Cirillo, il fu padrino di Sibari, deceduto alcuni anni fa a causa d’un infarto all’interno del Tribunale di Catanzaro. Quando quest’ultimo era stato mandato al soggiorno obbligato fuori dalla Calabria, egli aveva “spedito” il proprio affine, boss a Salerno della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, per riprendere il controllo di quello che era il Locale di ‘ndrangheta di Sibari già di fatto finito nelle mani di Santo Carelli. Il quale, prima di farlo eliminare, era andato a trovare Cirillo a Serra dei Conti in provincia di Ancona, sede del soggiorno obbligato, per comunicargli che non era possibile ammettere dei napoletani a Sibari.
Santo Carelli fondò dunque il Locale ‘ndranghetista di Corigliano Calabro. Che inglobò, con l’assenso del Crimine superiore di Cirò, il vecchio Locale di Sibari che fu guidato da Cirillo.
“Don” Santo Carelli favorì una maggiore autonomia delle singole ’ndrine, che Cirillo aveva precedentemente tenute assai “strette”.
Altro importante delitto per il quale Carelli è stato condannato in via definitiva è quello di Luigi Lanzillotta, noto imprenditore di Cassano Jonio dedito all’usura. Fu fatto eliminare da Carelli il 9 gennaio del 1993 da un commando in motocicletta che entrò in azione nella barberia di Corigliano Scalo dove la vittima si stava facendo radere. Lanzillotta pagò con la vita il fatto che s’era rifiutato d’aderire al “nuovo corso” criminale inaugurato da Carelli nel vasto e ricco comprensorio della Piana di Sibari, rimanendo fedele a Cirillo.
I collaboratori di giustizia – qui tanti sono stati i fuoriusciti dalla ‘ndrangheta dal 1995 in poi – hanno raccontato che Santo Carelli badava assai alle “coperture” dei suoi uomini, che voleva al sicuro il più possibile.
Tre condanne all’ergastolo e svariati omicidi, ma pure alcune assoluzioni per Santo Carelli, in particolare quelle relative alle accuse di traffico di sostanze stupefacenti. Secondo il narrato d’alcuni collaboratori di giustizia coriglianesi, infatti, Carelli era contrario ad alimentare gli affari illeciti del Locale attraverso la droga.
Il difensore storico del riconosciuto e temutissimo “capo” di Corigliano Calabro è l’avvocato Emanuele Monte.