I coriglianesi Solimando e Ginese trasferiti sabato scorso negli “attrezzati” penitenziari di Opera e Parma
Il “carcere duro”. È la “strategia” scelta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per “inginocchiare” la ’ndrangheta nell’area jonica cosentina, per ridurne l’influenza, per limitare il potere di boss e picciotti rimasti imprigionati nelle maglie delle numerose inchieste condotte dai magistrati coordinati dal procuratore distrettuale Antonio Vincenzo Lombardo. I quali, sabato scorso, hanno fatto applicare il 41-bis a Filippo Solimando, 46 anni, e a Salvatore Nino Ginese, di 42, entrambi di Corigliano Calabro.
I provvedimenti, richiesti dai pm antimafia catanzaresi, sono stati spiccati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Filippo Solimando, considerato il “capo” della ‘ndrina di Corigliano ma pure supposto “reggente” del locale di ‘ndrangheta cosiddetto degli “zingari” di Cassano Jonio di cui la ‘ndrina coriglianese sarebbe “parte attiva”, è stato trasferito dal carcere “ordinario” in cui era recluso, nel penitenziario milanese di Opera ove viene applicato il regime del 41-bis.
Stessa sorte, ma diverso istituto di pena, è toccata a Salvatore Nino Ginese, ora rinchiuso nel braccio “duro” del carcere di Parma.
Solimando e Ginese sono soltanto gli ultimi due, nel comprensorio jonico, ad essere stati attinti dai provvedimenti ministeriali richiesti dalla Dda di Catanzaro.
L’elenco è piuttosto lungo e continua con: Nicola Acri, 39 anni, detto “Occhi di ghiaccio” e ritenuto capo della ‘ndrina di Rossano, il suo supposto “numero due” Salvatore Galluzzi, di 39 anni, ed il ritenuto boss che completerebbe il nome della cosca rossanese “Acri-Morfò”, il 58enne Salvatore Morfò.
Tra i coriglianesi, invece, già da tempo figurano al 41-bis Maurizio Barilari, 46 anni, ritenuto capo ‘ndrina fino all’anno 2009, Ciro Nigro, di 49 anni, ed Alfonso Sandro Marrazzo, di 46.
A Cassano spicca su tutti la figura di Franco Abbruzzese alias “Dentuzzo”, 45 anni, presunto capo “riconosciuto” del locale che domina incontrastato gli affari criminali nell’intero comprensorio jonico della Piana di Sibari. Dall’estate del 2009 ininterrottamente al “carcere duro”, il suo “testimone”, secondo i pm antimafia, sarebbe passato al coriglianese Filippo Solimando, successivamente in “diarchia” con lo stesso figlio di “Dentuzzo”, Luigi Abbruzzese, di 25 anni, il quale s’è reso latitante dopo essere sfuggito all’ultima maxiretata, quella scattata all’alba del 16 febbraio scorso nell’ambito della colossale inchiesta denominata “Gentleman”, attraverso la quale il procuratore distrettuale Lombardo, i suoi aggiunti Vincenzo Luberto e Giovanni Bombardieri, ed il sostituto Domenico Guarascio, hanno stroncato un traffico di sostanze stupefacenti condotto su scala internazionale, anzi intercontinentale, attraverso “collegamenti diretti” coi cartelli del narcotraffico sudamericano di Argentina e Paraguay.
E Luigi Abbruzzese, nelle intercettazioni telefoniche appellato da Solimando come “Il piccoletto”, allo scoccare della maxioperazione condotta dagli uomini del Servizio centrale d’investigazione contro la criminalità organizzata (Scico) della Guardia di Finanza sotto le direttive degli stessi magistrati antimafia, era riuscito a sottrarsi alla cattura, forse “avvisato” in tempo da un’ipotetica “soffiata” che gli ha consigliato di fare in fretta armi e bagagli.
Le forze dell’ordine continuano dargli la caccia in modo incessante, convinti che non può essere lontano dalla “sua” terra, dalla Sibaritide.