Il riconosciuto boss di ‘ndrangheta dal luglio del 2009 è rinchiuso in carcere al 41bis. Ora è in cella con Filippo Graviano di “Cosa Nostra”
Nei confronti del 45enne boss di ‘ndrangheta Maurizio Barilari, da qualche mese riconosciuto con sentenza definitiva dai giudici quale capo della ‘ndrina di Corigliano Calabro a partire dal 2000 e fino al 2009, non s’è fatta attendere la confisca dei beni sequestratigli a seguito dell’operazione che portò alla celebrazione del maxiprocesso “Santa Tecla”.
Beni mobili ed immobili per un valore stimato pari ad oltre 800mila euro, tra cui una lussuosa villa, due auto e vari rapporti bancari e postali. Il provvedimento di confisca, spiccato dai giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Cosenza, su richiesta del Procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, è stato notificato a Barilari nella giornata di lunedì da parte dei finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro, i quali avevano svolto le indagini patrimoniali dalle quali era emersa la sproporzione dei beni di proprietà di Barilari rispetto alla capacità economico-reddituale ufficialmente dichiarata dallo stesso e dal suo nucleo familiare.
Col provvedimento di confisca – che è comunque appellabile come tengono a precisare i difensori di Barilari, gli avvocati Salvatore Sisca ed Andrea Salcina – i beni vengono sottratti a chi li aveva ottenuti attraverso la commissione di delitti nella forma del crimine organizzato ed acquisiti al patrimonio dello Stato.
Maurizio Barilari nei mesi scorsi è stato condannato definitivamente da parte dei giudici della Suprema Corte di Cassazione, a 19 anni e sei mesi per associazione mafiosa ed una lunga serie d’estorsioni nell’ambito del maxiprocesso “Santa Tecla”.
E’ invece in attesa della pronuncia definitiva da parte degli stessi “ermellini” sulla condanna inflittagli dai giudici della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro, i quali lo hanno condannato a 27 anni e sei mesi per concorso in due fatti di sangue compiuti nell’ambito della guerra di ‘ndrangheta che ha interessato la Sibaritide negli anni 2000. Il primo è l’omicidio di Giorgio Cimino, padre dei collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio, vittima d’un agguato compiuto all’interno dell’allora “Roxy bar” della frazione Scalo di Corigliano il 24 maggio del 2001, il secondo è il duplice omicidio di Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana trucidati in un plateale agguato compiuto a colpi di kalashnikov il 25 marzo del 2002 lungo il tratto coriglianese della trafficata Statale 106.
Nel maxiprocesso “Stop”, il cui primo grado s’è concluso qualche settimana fa presso il Tribunale di Castrovillari, Barilari è stato inoltre condannato a 4 anni di reclusione.
Dal luglio del 2009 è recluso in regime di 41-bis: prima nel penitenziario di Parma ed ora nel carcere Le Costarelle de L’Aquila dov’è compagno di cella dell’ergastolano Filippo Graviano, importante boss di “Cosa Nostra” siciliana.
Nello stesso carcere aquilano il 18 dicembre del 2010 si suicidò, a soli 41 anni d’età, un altro boss coriglianese, Pietro Salvatore Mollo.