Le manifestazioni di questi giorni dei NOTRIV, sono state in gran parte dedicate allo Sblocca Italia e agli articoli di quella legge che accelerano le estrazioni petrolifere nel nostro paese. E proprio sotto questo specifico profilo il contenuto delle proteste ha lasciato sconcertate diverse persone che, come me, hanno avuto modo di assistere a uno spettacolo ipocrita e deprimente (specie quando utilizza i bambini delle scuole elementari), che è sembrato finalizzato, attraverso i soliti luoghi comuni dell’estremismo ecologista, solo ad alimentare dubbi, riserve, perplessità, quando non anche una vera e propria ostilità alle attività di ricerca, esplorazione ed estrazione di idrocarburi al largo delle nostre coste.
Sulle probabili attività estrattive in mare si sono enunciati (enfatizzandoli, ma senza che in città si sentisse il bisogno di un contraddittorio che potesse alimentare opinioni diverse) i rischi connessi a tale aumento di capacità, non evidenziando invece i vantaggi finanziari, occupazionali e una certa autonomia energetica che quei nuovi investimenti comporteranno. Ma c’è di più.
La preoccupazione costante dei curatori della protesta, ripetutamente manifestata nel corso di varie manifestazioni, è stata quella di segnalare i rischi e con essi in alcuni casi la supposta, avvenuta compromissione ambientale del mare, delle coste e dei terreni, totalmente ascritta agli effetti delle estrazioni petrolifere. E il leitmotiv che ha scandito gran parte delle discussioni è stato che le riserve petrolifere di questa zona sarebbero troppo limitate per avere un qualche interesse economico e che, estraendole, comunque si danneggerebbe l’inestimabile ambiente della costa e dell’entroterra.
Ora, dopo aver assistito alla lagna dei soliti noti che dicono no a tutto, in nome di presunte vocazioni turistiche e agricole del territorio, tra l’altro mai valorizzate, ci chiediamo: quell’ambiente, quel mare e quei terreni definiti di pregio inestimabile (quasi fosse una nuova Arcadia del XXI secolo) quanta occupazione moderna e qualificata hanno saputo generare finora? Nessuna in realtà, perché qui, al di là delle ricchezze personali di pochi maneggioni, che vivono chiusi nelle loro nicchie protette (aziende agricole e delle energie alternative superassistite e villaggi turistici lager), abbiamo visto solo povertà, sfruttamento di poveri cristi, emigrazione, fuga dai campi e dai nostri paesi, soprattutto dei più giovani. Perché qui le cosiddette risorse naturali la ricchezza più che crearla l’hanno distrutta.
Perciò dovremmo dire ai sindaci e a tutti quelli che oggi, strumentalmente, berciano contro il petrolio e che cercano di far passare per vere balle colossali, che a fronte dei presunti danni che le trivellazioni potrebbero fare all’ambiente, tutti da dimostrare, ovviamente, c’è la certezza dei forti tassi di povertà e disoccupazione, se non di disperazione, che esistono di certo non per colpa dei petrolieri (che tra l’altro verserebbero ogni anno diversi milioni di royalties nelle casse dei comuni del territorio, che potrebbero essere usati per contrastare il dissesto idrogeologico), ma di una classe dirigente di furfanti, incapaci e ipocriti, che da anni assiste inerte, per ignoranza, viltà e disonestà, alla sistematica distruzione della nostra credibilità e delle nostre risorse, che dovrebbero garantire, quelle sì, ricchezza e occupazione, a cominciare proprio dall’agricoltura, dal turismo e dalla pesca, e al saccheggio del territorio, per niente tutelati e valorizzati, a opera delle peggiori mafie tradizionali e politiche che esistano, di cui è stata (ed è) espressione e con cui spesso è stata (ed è) pappa e ciccia.
Ecco, ai ridicoli rivoluzionari in servizio permanente effettivo, organizzatori interessati della cagata NOTRIV, bisognerebbe ricordare che in passato non hanno mai mostrato così grande enfasi per le vere emergenze del territorio: quelle, per intenderci, che se le vuoi affrontare ci vogliono davvero i coglioni e che hanno sul serio compromesso il nostro sviluppo: come la criminalità organizzata e il malaffare diffuso nella politica, nella burocrazia e nelle professioni (che sputtanando il buon nome di una città tengono alla larga turisti e investitori), il saccheggio del mare e dell’ambiente (che ha davvero distrutto pesca e turismo), il satanismo fiscale (che, grazie all’avidità dei comuni, sta mandando sul lastrico le poche aziende sane rimaste), lo statalismo, la corruzione e l’assistenzialismo (che impediscono a imprese, industria e agricoltura di competere e confrontarsi coi mercati), il dissesto urbanistico e idrogeologico (che ha compromesso la qualità della vita delle nostre città), l’inefficienza di sanità, burocrazia e giustizia (le peggiori d’Europa: altro che ospedale unico e tribunale, solite battaglie di retroguardia).
Perché è noto a tutti che qualunque percorso di crescita qualificata ha sempre bisogno di un ambiente favorevole, capace di valorizzare le risorse disponibili di un territorio, su cui le trivelle, probabilmente, inciderebbero ben poco. E ciò, per agricoltura e turismo, con cui questi stolti si riempiono la bocca, vuol dire bellezza e decoro delle città, cultura dell’accoglienza, dell’ambiente e della legalità, buone maniere, agibilità del territorio e dei mercati (quindi sicurezza personale e dei propri beni), poche tasse e zero burocrazia, disponibilità di capitali bancari e finanziari, servizi pubblici efficienti, personale qualificato, concorrenza e libero mercato, e soprattutto cultura d’impresa. Ma queste risposte, ahimè, forse troppo coraggiose, perché c’è da mettersi contro mafie e poteri forti, e non è facile, non le sentiremo mai da parte di chi, appartenendo al regno dei bugiardi, degli opportunisti, dei cacasotto e dei calabrache, ha fatto fuggire tutti dalla nostra terra, investitori e capitale umano compresi, lasciando sul campo solo mafie, aziende decotte e assistite e quattro straccioni di stranieri. E si sa, da dove fuggono capitali (finanziari e umani) e investitori prima o poi torneranno i pecorai e i morti di fame. Un bel traguardo, non c’è che dire.