Dopo il sequestro agli eredi del defunto Franco i beni di famiglia “s’avviano” verso la confisca
“Sotto chiave”. E con una chiave che, da qui a non molto, potrebbe cambiare. Cambiando serratura, e, dunque, proprietario.
Si tratta di beni mobili ed immobili, per un valore stimato in oltre otto milioni di euro, appartenuti ai fratelli Franco e Mario Straface (il primo deceduto nel novembre del 2011), notissimi imprenditori nel settore degli appalti pubblici e privati di Corigliano Calabro e fratelli, al contempo, dell’ex sindaco della più popolosa cittadina dello Jonio cosentino, Pasqualina Straface, estromessa dal municipio nel giugno del 2011, dal momento che il Comune le fu dichiarato sciolto perché “permeato” dalla ‘ndrangheta, con decreto dell’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Proprio a causa delle interessate ingerenze dei due fratelli imprenditori.
Mario Straface è stato infatti condannato, lo scorso 9 gennaio in via definitiva, a sei anni e otto mesi di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione aggravata e continuata.
Al momento della pronuncia inappellabile da parte dei giudici della Suprema Corte di Cassazione, il 61enne da meno di due mesi era stato assegnato agli arresti domiciliari dopo la detenzione cautelare nel carcere milanese di Opera a seguito della maxioperazione “Santa Tecla”, che il 21 luglio del 2010 lo vide finire in manette insieme al fratello scomparso e ad altre sessantacinque persone tutte accusate d’appartenere al locale di ‘ndrangheta coriglianese.
Qualche giorno dopo il 9 gennaio, i familiari lo accompagnarono in Pronto soccorso, presso l’ospedale cittadino, dove l’uomo venne ricoverato per accertamenti e vi rimase piantonato dai carabinieri per una decina di giorni.
Ma l’ordine d’esecuzione della pena che ancora gli resta da scontare in carcere arrivò pure per lui, come per alcuni altri condannati definitivi, i quali, come lui, nel frattempo erano stati assegnati ai domiciliari oppure si trovavano addirittura in libertà.
I carabinieri perciò, una sera lo prelevarono dall’ospedale per trasferirlo nuovamente in carcere.
Ieri mattina, invece, i finanzieri del Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata in forza al Nucleo di polizia tributaria di Catanzaro, hanno notificato il provvedimento di sequestro dei “beni di famiglia”. Tanto a carico degli eredi dello scomparso quanto nei confronti del detenuto Mario e dei suoi familiari.
Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Cosenza, su richiesta del Procuratore distrettuale di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo.
Le indagini effettuate avrebbero dimostrato come i due imprenditori, avvalendosi della forza intimidatoria del locale ‘ndranghetistico cui erano “intranei”, diventavano “partner d’obbligo” nell’esecuzione di vari lavori edili e di movimento terra, instaurando di fatto un particolare quanto fraudolento regime di monopolio, e diventando allo stesso tempo un’importante fonte di guadagno per il locale stesso a cui venivano destinati una parte dei proventi realizzati.
Non solo. Già, perché i finanzieri avrebbero, pure, dimostrato la pericolosità sociale dei soggetti proposti per il sequestro ed aggredito i loro patrimoni in base alla speciale normativa che prevede, tra l’altro, il sequestro patrimoniale anche a carico degli eredi del soggetto principale.
Oggetto del sequestro sono stati vari immobili, tra cui appartamenti e villette di pregio, terreni agricoli, attività commerciali, quote societarie, automezzi e conti correnti bancari e postali.
Tutti beni che ora “s’avviano” a un processo che appare come irreversibile: la confisca da parte dello Stato.