Molto verosimilmente le menti criminali delle ‘ndrine sibarite coinvolte nella maxioperazione “Gentleman” stavano progettando un plateale assalto armato a un furgone portavalori. Oppure a un istituto di credito del circondario.
Molto meno probabile, secondo gl’inquirenti, ipotesi d’un attentato mortale nei confronti di nemici “esterni”, “interni” o contro i nemici dello Stato.
A fermare qualsiasi tipo di già preventivata azione, appena un paio di mesi fa, era stata la Guardia di Finanza sotto l’egida d’una “soffiata” raccolta da fonte confidenziale.
Le divise grigie erano arrivate dritte dritte in un posto immerso tra gli uliveti delle colline che insistono nel piccolo e tranquillo comune di Vaccarizzo Albanese, a un tiro di schioppo dalla Piana sibarita.
E proprio nel posto indicato dal delatore i militari avevano rinvenuto, ben occultato in un terrapieno, un grosso ed ingombrante sacco di plastica nero, ben chiuso, al cui interno era occultato un borsone di nylon scuro e “cautelato” in modo da proteggerne il contenuto dall’umidità.
Al suo interno v’era infatti custodito un vero e proprio arsenale d’armi da fuoco coi relativi munizionamenti, e non solo.
Nel borsone i finanzieri rinvennero infatti una pistola calibro 9, due fucili – uno a pompa ed un altero a canne mozze entrambi calibro 12 – una mitraglietta calibro 9 dotata di silenziatore ed il relativo munizionamento. Non solo. Già, perché il borsone conteneva pure tre giubbotti antiproiettili, due passamontagna, alcuni fumogeni, uno spray al peperoncino ed un lampeggiante di colore blu del tipo in uso alle forze dell’ordine ma sprovvisto d’alcun tipo di numero identificativo. Del ritrovamento dell’arsenale, sottoposto a sequestro nei confronti d’ignoti, era stato immediatamente informato il Procuratore capo di Castrovillari, Franco Giacomantonio, ed il sostituto di turno Maria Sofia Cozza.
I magistrati della Procura ordinaria girarono subito la “cosa” ai colleghi della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
Ancora ignoti i risultati degli accertamenti di tipo tecnico finalizzati ad individuare la provenienza dell’intera dotazione d’armi da fuoco e di quell’equipaggiamento.
Sul piano più meramente investigativo, invece, si punta a capire quale fosse il sicuro progettato utilizzo dell’arsenale e a identificarne i possessori. Dilemmi tutti ancora da “decifrare”.
Ma che – a queste latitudini – hanno un comune denominatore contenuto nella parola ‘ndrangheta, l’unica “in virtù” della quale può realizzarsi certo tipo d’azioni criminali…