L’omicidio del boss Antonio Bruno nel 2009 ha rappresentato una linea di demarcazione netta e una cesura definitiva col passato.
Il boss ed aspirante collaboratore di giustizia coriglianese Pietro Salvatore Mollo, un mese prima di morire suicida in circostanze “strane” nella sua cella all’interno del braccio di massima sicurezza del carcere “Le Costarelle” de L’Aquila, al sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, aveva fatto nomi e cognomi.
In quella sua unica “cantata” del 18 novembre 2010 aveva accusato uno ad uno gl’ipotetici mandanti ed esecutori materiali (abbiamo pubblicato ieri in esclusiva il verbale d’interrogatorio) dell’ultimo e più importante omicidio di ‘ndrangheta consumato a Corigliano Calabro nell’ultimo lustro, e precisamente il 10 giugno del 2009.
Già, l’omicidio di Antonio Bruno alias “Giravite”, il più “alto in grado” tra gli ‘ndranghetisti coriglianesi allora in libertà dopo anni e anni di carcere duro.
Un fatto di sangue che ha rappresentato e rappresenta una “linea di demarcazione” netta. Una cesura definitiva – e per nient’affatto simbolica – con gli “uomini di rispetto” della vecchia gerarchia della ‘ndrangheta coriglianese.
Dal 1999 Corigliano Calabro ha perduto il “locale” ed è ridotta al rango di “‘ndrina” d’un nuovo “locale” di ‘ndrangheta: quello di Cassano Jonio.
Quando, nel 1999, Maurizio Barilari venne incaricato da Francesco Abbruzzese alias “Dentuzzo” di rappresentare a Corigliano gli “Zingari” di Cassano di cui egli era “capo” si consacrò la subordinazione dei coriglianesi ai confinanti. Così, a Corigliano si chiudeva il “locale” e, contestualmente, lo si apriva a Cassano.
Tali rapporti di “peso ponderato” tra Corigliano e Cassano si sono protratti sino alla fine del 2002, quando a Cassano venivano uccisi Fiore Abbruzzese ed Eduardo Pepe, allora “reggenti” del locale.
I rapporti tra coriglianesi e cassanesi si sono poi modificati a seguito dell’omicidio, consumato nel giugno del 2003, di Nicola Abbruzzese il quale aveva preso il posto di Eduardo Pepe e Fiore Abbruzzese.
Il capo ‘ndrina di Corigliano Maurizio Barilari, una sera che si trovava in auto insieme a Fabio Falbo, subì un tentativo d’omicidio.
I due furono speronati da un’auto che tentava di mandarli fuori strada.
E nel 2007, con la sua uscita dal carcere, Antonio Bruno “Giravite” tentò invece di riaprire e d’imporsi alla guida del “locale” di Corigliano.
“Giravite” a Cassano cominciò a stringere rapporti coi Forastefano, avversari storici degli “Zingari”.
Così, dopo il tentativo d’omicidio nei suoi confronti, Maurizio Barilari temeva d’essere ammazzato dai Forastefano e girava armato e scortato.
A larghe linee, è questo il quadro emerso nell’ambito dei due maxiprocessi “Timpone Rosso” e “Santa Tecla”.
Un puzzle in evoluzione costante cui mancano i tasselli dell’ultimo quinquennio.
A cominciare dall’estate del 2009 e dall’omicidio di Antonio Bruno “Giravite”.
Il 10 giugno fu ammazzato il vecchio boss ma poco più d’un mese dopo, il 16 luglio, con l’operazione “Timpone Rosso” fu arrestato Maurizio Barilari. Il quale da allora è detenuto al 41-bis ed è già condannato in primo grado e in appello, nei maxiprocessi “Timpone Rosso” e “Santa Tecla”.
E da allora?