La Corte di appello di Catanzaro (presidente Palma Talerico, a latere Fabrizio Cosentino) ritocca, anche se non di molto, le pene inflitte agli imputati del processo “Timpone Rosso”(quartiere della frazione Lauropoli di Cassano Jonio, più volte preso d’assedio dalle forze dell’ordine perché ritenuto base logistica della potentissima cosca locale) rispetto al processo di primo grado che si era concluso nel maggio dello scorso anno presso la Corte di Assise di Cosenza. Infatti dei cinque ergastoli comminati in primo grado dai giudici cosentini, quelli catanzaresi ieri ne hanno confermati quattro, non infliggendo il carcere a vita al coriglianese Damiano Pepe Quattro invece gli ergastoli confermati nei confronti di elementi di spicco della criminalità organizzata di tutta la fascia ionica cosentina, a partire da Nicola Acri, il boss di Rossano, soprannominato “occhi di ghiaccio”. Per lui la corte ha confermato l’ergastolo inflitto in primo grado. Carcere a vita anche per il coriglianese Ciro Nigro e i cassanesi Franco Abbruzzese di 40 anni, detto “U pirolu” e Franco Abbruzzese di 40 anni, detto “Dentuzzo”. Dicevamo che il coriglianese Damiano Pepe rispetto alla sentenza di primo grado si è visto cancellare dai giudici dell’appello la condanna in primo grado all’ergastolo e quindi per lui il ritorno in libertà potrebbe essere imminente, tenuto conto che Pepe sta finendo di scontare un residuo della pena di 23 anni di carcere inflittagli per l’omicidio del commerciante Lanzillotta avvenuto a Corigliano negli anni novanta. Nessuna condanna anche per Celestino Abbruzzese, detto “Asso di bastoni”, che veniva indicato come patriarca della famiglia, il cassanese in primo grado aveva rimediato 25 anni. Quando era stato arrestato, nel 2012, dopo la sua fuga dall’ospedale nel quale era detenuto, la gente del quartiere era scesa in strada per difenderlo dai carabinieri. Assoluzione anche per Giovanni Abbruzzese “il Cinese” (25 anni in primo grado); Rocco Antonio Donadio (25 anni in primo grado); Tommaso Iannicelli (15 anni in primo grado). Assoluzione confermata per Domenico Madia e Antonio Abbruzzese del 1975: per entrambi l’accusa aveva chiesto il carcere a vita. Un leggero sconto di pena, rispetto alla sentenza di primo grado, per il coriglianese Maurizio Barilari il quale dagli iniziali 28 anni di carcere si è visto “ridurre” la pena a 27 anni e mezzo; ridotta da 25 a 24 anni la pena per Fiore Abbruzzese detto “Minuzzo”. Altre riduzioni di pena riguardano Vincenzo Curato da 14 a 12 anni di carcere, Carmine Alfano da 10 anni a 8 anni e 4 mesi e Fabio Antonio Falbo dagli iniziali 23 anni ieri la Corte di appello lo ha condannato a 22 anni e 9 mesi di carcere. Va ricordato anche che Mario Bevilacqua era già stato assolto in primo grado e la sua posizione non è stata appellata. A ben vedere, quindi, l’impianto accusatorio redatto dal sostituto procuratore antimafia, Vincenzo Luberto, ha retto anche nel processo di secondo grado che vedeva alla sbarra 26 imputati. In pratica, per così come accaduto nel processo di primo grado, i giudici di appello hanno tenuto in debita considerazione le propalazioni dei pentiti. Gli indagati di “Timpone rosso” furono accusati, a vario titolo, di aver organizzato e partecipato a sette agguati mafiosi tra il gennaio del 1999 e il giugno del 2003. L’operazione che portò agli arresti risale al 16 luglio del 2009. «L’indagine – si legge negli atti originari di “Timpone rosso” – conferma che gli zingari costituiscono un’unica consorteria di ‘ndrangheta a prescindere dal fatto che i singoli partecipi dimorino in Cosenza o in Cassano. Infatti, zingari cassanesi e cosentini partecipano ad una strategia stragista volta alla progressiva eliminazione di tutti coloro che avrebbero potuto attentare all’egemonia zingara in provincia di Cosenza».

La Redazione


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