Una trentina gl’imputati alla barra per la guerra di ‘ndrangheta che negli anni Duemila ha terrorizzato la Sibaritide
E’ attesa per oggi la sentenza al maxiprocesso di ‘ndrangheta “Timpone Rosso” che vede alla sbarra, dinanzi ai Giudici della Corte d’assise d’appello di Catanzaro (Presidente Palma Talerico, a latere Cosentino) quasi una trentina tra presunti boss ed affiliati alla potentissima consorteria criminale del cosiddetto “Locale degli Zingari” di Cassano Jonio e delle loro due sottoposte ‘ndrine di Corigliano Calabro e Rossano.
In primo grado furono inflitti cinque ergastoli ed altre quattordici pesantissime condanne agl’imputati pari a quasi trecento anni di carcere.
Oggi sui loro capi pende una vera e propria raffica di richieste d’ergastolo, a seguito della recente requisitoria del Procuratore generale Marisa Manzini, per punire mandanti, organizzatori ed autori di quella cruenta guerra di ‘ndrangheta che negli anni Duemila aveva lasciato sul campo di battaglia della Sibaritide un lungo rosario di morti ammazzati.
Il primo agguato risale al 6 gennaio del 1999 quando all’ingresso di Lauropoli vennero spediti al Creatore Giuseppe Cristaldi, “uomo di rispetto” legato alle vecchie gerarchie della ‘ndrangheta, e Biagio Nucerito, suo fidato autista.
Poi, toccò a Gianfranco Iannuzzi, scomparso per lupara bianca a Cosenza il 16 aprile del 2001 e ritrovato cadavere molti anni dopo grazie alle confessioni del collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante.
Di seguito scattò l’eliminazione di Giorgio Cimino, padre dei due collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio Cimino, e, quindi, vittima d’una vendetta trasversale compiuta a Corigliano Calabro il 24 maggio 2001.
Il 25 marzo del 2002 vennero invece trucidati, sempre a Corigliano Calabro, Giuseppe Vincenzo Fabbricatore, “reggente” della ‘ndrina coriglianese, e Vincenzo Campana, suo autista e uomo di fiducia.
Poco più d’un mese dopo, il 28 aprile, a Cassano Jonio, cadde Gaetano Guzzo, piccolo imprenditore.
Sempre a Cassano Jonio, l’anno successivo toccò ad Antonio Acquesta, scomparso per lupara bianca il 27 aprile del 2003, e poi a Sergio Benedetto e Fioravante Madio, trucidati insieme a colpi di kalashnikov il 16 giugno.
Madio però morì per sbaglio: fu vittima del “fuoco amico” del gruppo di killer di cui faceva parte e che era entrato in azione per ammazzare Benedetto e il cugino, Rocco Milito, il quale si salvò miracolosamente la pelle.
Al maxiprocesso, stamattina è prevista la replica del Procuratore Generale ad alcuni importanti rilievi mossi dal collegio difensivo nel corso dell’ultima udienza del 4 luglio scorso. A questa replicheranno gli avvocati, dopodichè i Giudici entreranno nella camera di consiglio che infine decreterà il verdetto.