Intenso colloquio tra la coriglianese Rosina Blaconà, moglie di Giorgio Cimino morto ammazzato nel 2001 e Vincenzo Curato reo confesso per quell’omicidio.
Una clamorosa registrazione video. Realizzata furtivamente, con un telefonino, da qualcuno dei presenti all’udienza tenutasi il 24 maggio del 2011 nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza. Durante la celebrazione del primo grado d’un maxiprocesso di ‘ndrangheta, il “Timpone Rosso”, contro un bel nugolo d’imputati, quasi una trentina. Presunti capi ed affiliati del potentissimo locale ‘ndranghetista degli “Zingari” di Cassano Jonio: quello che domina la scena criminale nell’intero comprensorio della Sibaritide.
Il primo grado s’era concluso con quattordici pesantissime condanne – tra esse diversi ergastoli – inflitte dalla Corte d’Assise cosentina presieduta da Antonia Gallo, a latere Grillone: i due togati, quel giorno del maggio 2011 evidentemente non s’accorsero che qualcuno filmava qualcosa col telefonino.
Per oggi sarebbe attesa la sentenza di secondo grado, da parte dei Giudici della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro presieduta da Palma Talerico, a latere Cosentino.
E c’è quel video che pesa come un macigno per l’agguerritissimo collegio difensivo pronto a dar battaglia col fine di far “saltare” la sentenza, almeno per oggi.
Il video, pur datato, è stato “postato” appena qualche giorno fa, per l’esattezza lo scorso primo luglio, sulla piattaforma internet di “Youtube”, ccco il link: http://www.youtube.com/watch?v=s5g7TCIgwpo
La ripresa, della durata di dodici minuti e trentacinque secondi, ritrae il collaboratore di giustizia Vincenzo Curato mentre s’intrattiene lungamente a parlare con la vedova di Giorgio Cimino, uno degli undici morti ammazzati nella cruenta guerra di ‘ndrangheta oggetto del processo.
Rosina Blaconà, costituitasi parte civile contro gl’imputati, parla fittamente con Curato il quale è imputato, tra l’altro, proprio per l’omicidio del marito.
Curato è reo confesso d’aver preso parte all’omicidio Cimino e ha fatto i nomi di mandanti, esecutori materiali, fiancheggiatori e complici.
Circostanza singolare, quella del video. “Sospetta” secondo i difensori degl’imputati alla sbarra per quel delitto.
Il 39enne “pentito” Vincenzo Curato, un tempo residente a Corigliano Calabro ma noto negli ambienti criminali come “Vicienz ‘u cassanisi” per le sue origini che affondano le radici a Cassano Jonio, nel 2007 decise di raccontare le sue “verità” ai giudici della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Ponendo l’accento, in particolare, su due fatti di sangue consumatisi a Corigliano Calabro tra il maggio del 2001 ed il marzo del 2002.
Il primo è proprio l’omicidio di Giorgio Cimino, 62 anni, padre dei collaboratori di giustizia Giovanni ed Antonio Cimino, ucciso il 24 maggio del 2001 mentre beveva un caffè all’interno d’un bar.
Nel locale entrò un uomo col volto coperto da un casco integrale che gli puntò contro una pistola calibro 38 e fece fuoco ripetutamente.
Cimino, ferito alla testa, cadde in una pozza di sangue.
Il killer fuggì in sella a una moto di grossa cilindrata condotta da un complice.
La vittima morì pochi giorni dopo all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza.
All’omicidio di Giorgio Cimino, il “pentito” Curato ha rivelato d’aver preso parte col ruolo di “palo”.
Giorgio Cimino, benché invitato a seguire un programma di protezione, non aveva mai voluto lasciare Corigliano Calabro a seguito della scelta dei figli di collaborare con la giustizia. Fu eliminato per mandare un chiaro messaggio ai due pentiti.
Antonio Cimino, in particolare, era pronto a seguire il percorso fatto dal fratello Giovanni che già da alcuni anni aveva deciso di collaboratore coi magistrati della DDA di Catanzaro.
Le sue eventuali dichiarazioni avrebbero potuto sovrapporsi a quelle del germano dando forza all’accusa su alcuni fatti di sangue che s’erano consumati negli anni passati.
Secondo le accuse del Procuratore Generale e sulla base della ricostruzione dell’omicidio Cimino resa da Vincenzo Curato e da altri collaboratori di giustizia, dopo giorni di pedinamenti effettuati dallo stesso Curato e dall’imputato Fabio Falbo, l’organizzazione ‘ndranghetista decise di colpire Giorgio Cimino mentre si recava a prendere il caffè nel suo solito bar allo Scalo di Corigliano Calabro.
Proprio lì fu colpito a morte dal presunto killer Ciro Nigro giunto a bordo della moto guidata dal presunto complice Eduardo Pepe.
L’omicidio, sempre secondo l’accusa, sarebbe stato “autorizzato” da Maurizio Barilari, presunto capo ‘ndrina di Corigliano Calabro scelto dai capi del “Locale degli Zingari” di Cassano Jonio.