La Platea di Morano, rogata dal notaio Sebastiano della Valle nel 1546, non è più un mistero
Dopo il successo di “Muranum, nella Longobardia Meridionale”, Lorenzo Carmine Curti regala agli studiosi e agli appassionati di storia locale un prezioso strumento di ricerca e approfondimento. Si tratta di un libro il cui titolo, «Lineamenti e documenti di storia feudale – Morano Calabro (Secoli XII–XVI)», efficace e suggestivo, anticipa magistralmente il contenuto dell’opera, suscitando, ipso facto, quella istintiva, vantaggiosa curiosità capace di stimolare e accompagnare il lettore nei meandri della conoscenza.
Strutturato in tre corposi capitoli, il lavoro del Curti presenta una immagine inedita e in parte ignorata, non foss’altro per l ‘inveterata indisponibilità e la carenze di fonti compulsabili, della società medievale. In particolare, ed è questo il confetto destinato agli annali, è finalmente riportato alla luce un documento, l’inseguita Platea di Morano, rogata dal notaio Sebastiano della Valle nel 1546, citato nei migliori contributi di vicende patrie ma irrintracciabile in archivi e biblioteche pubbliche.
La prima parte del lavoro, incardinato essenzialmente sull’analisi dell’atto testé segnalato, propone un excursus “rapido ma non superficiale della storia feudale di Morano” mediante il novero degli utili signori che hanno avuto in feudo il vetusto borgo del Pollino dalla seconda metà del XII secolo alla fine del XVI, elencazione desunta e rimodulata anche in base alle recenti investigazioni dell’autore.
Il secondo capitolo espone uno studio analitico e dettagliato della Platea, con l’inserimento di una scrupolosa disamina dei diritti, privilegi, beni, censi e prerogative del principe di Bisignano, Pietro Antonio Sanseverino, signore di Morano nel 1546, epoca in cui fu compilato l’atto summenzionato.
Nel terzo capitolo Curti annota, non esimendosi da una verifica critica – del tutto mancante, ahinoi, nei testi ottocenteschi del preposito Scorza e del barone Salmena i quali, sulla scia dell’illustre concittadino Gio Leonardo Tufarelli (Morano 1550? – Morano 1623), cedono a ragionamenti e conclusioni forzate e marcatamente campanilistiche – degli articoli statutari, delle grazie e dei privilegi concessi all’Università di Morano dai differenti feudatari della famiglia Sanseverino succedutisi nella signoria del luogo dal 1439 al 1600.
«L’approccio – è scritto nell’ouverture al volume – è stato storico “tout court”, cioè sono stati osservati gli eventi senza nulla concedere a una narrazione romanzata, evitando anche, quando è stato possibile, una narrazione approfondita della natura socioeconomica dei rapporti tra baronaggio e sudditi che avrebbe richiesto un grado di scandaglio e più spazio».
Con l’umiltà che distingue i grandi, il Nostro denuncia la mancanza di un rigore scientifico che attribuisce invece, bontà sua, agli storici di professione, affermando d’aver egli sviluppato in ambito assai diverso il suo percorso formativo. Vogliamo però smentire, e con determinazione, tale protesta: avendo, il Curti, a nostro giudizio già ampiamente e con assidua periodicità dimostrato la valenza dei suoi studi, distinti tutti per l’assoluta originalità dei contenuti. Dunque, nulla da invidiare a quanti, compositamente, si sono misurati con l’affascinante vicenda moranese, offrendo sintesi e interessanti spunti di riflessione. Interessanti, ma diversi, appunto. Perché ogni scrittore è lo specchio di una visione non omologabile ad altre, né banalizzabile con semplificazioni affrettate e inopportune. La severità è sì, il perno centrale di un argomento, che abbinato all’onestà intellettuale ne caratterizza qualità e merito. Ma se all’orizzonte non s’intravvede il sentimento, l’amore e la passione, quella tensione emotiva, fondamentale per chi usa la penna, tutto è vano. Anche il rigore scientifico. Nel Curti, tutto questo coabita eccellentemente.
Pino Rimolo