“Ragazzi di vita”. E di morte. Una morte violenta, quella di Pier Paolo Pasolini, che fa da contraltare al titolo d’un altro dei suoi romanzi più celebri, “Una vita violenta”.
E tra quei ragazzi di vita che si prostituivano per poche migliaia di lire nella Roma degli anni Settanta vi sarebbe stato pure un coriglianese, non proprio giovanissimo.
Il nome viene fatto da una fonte a una giornalista napoletana che da tempo indaga su uno dei tanti misteri italiani, l’omicidio del controverso e scomodo scrittore, poeta e regista, da molti considerato il massimo intellettuale italiano della seconda metà del Novecento.
La fonte, un fotografo romano amico di Pasolini, rivela che la notte tra il primo e il 2 novembre del 1975, all’Idroscalo di Ostia, proprio nel luogo in cui fu rinvenuto il corpo massacrato dello scrittore, vi sarebbe stato pure un uomo originario di Corigliano Calabro, anch’egli all’epoca suo amico.
La fonte però non sa – oppure tace sul punto – che C. Z. è deceduto nel 2004, proprio a Corigliano Calabro, pare dopo avere contratto l’Aids.
Un personaggio controverso il coriglianese, vissuto per anni a Francoforte in Germania, e noto tra l’altro negli ambienti investigativi coriglianesi per avere avuto a che fare con elementi che trafficavano e spacciavano droga.
Ma ora non c’è più, inghiottito da una morte che ha inghiottito pure quell’ipotetico segreto che tanti anni fa egli stesso avrebbe confidato a quel fotografo suo amico e per il quale posava.
La giornalista che ha raccolto la notizia della presunta presenza del coriglianese C. Z. sulla scena del delitto a breve pubblicherà un libro sull’omicidio Pasolini.
Nelle scorse settimane il regista Abel Ferrara, che ha girato un film di prossima uscita sugli ultimi giorni di Pasolini, ha dichiarato testualmente al settimanale “Oggi” che ha pubblicato uno scoop su alcuni documenti inediti: «So chi ha ucciso Pier Paolo Pasolini e ne farò il nome».
L’avvocato Stefano Maccioni, legale di Giulio Mazzon, cugino di Pier Paolo Pasolini e unica persona offesa nel procedimento giudiziario in corso, ha chiesto alla procura di Roma di sentirlo per sommarie informazioni. «Mi auguro che quanto sostenuto con tanta sicurezza dal regista sia vero, perché non potremmo sopportare ulteriori speculazioni su presunti quanto infondati scoop».
L’avvocato Maccioni ricorda che la famiglia ha chiesto e ottenuto «che fossero effettuate indagini scientifiche sui reperti custoditi al museo criminologico di Roma».
Il caso Pasolini affiora alle cronache con regolarità, perché la verità giudiziaria che ha visto il ragazzo di vita Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana”, unico responsabile del delitto, non ha mai convinto. Lo stesso Pelosi, più volte, s’è contraddetto, ha dichiarato d’essersi assunto tutte le colpe per le minacce ricevute e indirizzate anche alla sua famiglia, ma nella sostanza ha suscitato soprattutto un’unanime impressione di inattendibilità. E sulle dichiarazioni di Abel Ferrara ad “Oggi”, Pelosi, intervistato pochi giorni fa da “Il Tempo”, parla di «trovata pubblicitaria» del regista affermando al contempo di conoscere lui solo «l’85% della verità sulla morte di Pasolini» e di non volerne parlare per paura d’essere ammazzato.
Nel febbraio del 1996 è stata richiesta l’archiviazione dell’istanza di riapertura del caso presentata l’agosto del 1995 dall’avvocato Nino Marazzita, sulla base d’alcuni elementi che facevano sospettare la presenza di Giuseppe Mastini, detto “Johnny lo zingaro”, giostraio di etnia Sinti, all’Idroscalo di Ostia la notte in cui fu ucciso Pasolini. Nel respingere questa tesi la Procura fa riferimento a una nota della Squadra mobile di Roma che sottolinea «la totale assenza di qualunque elemento che possa far concludere per rapporti, o soltanto contatti di conoscenza tra il Pelosi e il Mastini all’epoca dei fatti».
In verità, sostiene “Oggi”, “Pino la rana” e “Johnny lo zingaro” s’erano conosciuti al carcere minorile di Casal del Marmo e, una volta usciti, frequentavano lo stesso bar nel quartiere Tiburtino.
Che le indagini siano state sommarie è più d’un sospetto: l’auto del poeta, per esempio, è rimasta aperta e sotto l’acqua per diverso tempo prima che le eventuali impronte venissero collazionate, la scena del delitto è stata isolata solo dopo quattro giorni e sullo spiazzo di terra battuta dove è stato assassinato il regista i ragazzi erano soliti giocare a pallone.
L’avvocato Marazzita, legale della famiglia Pasolini, ha sempre ritenuto inverosimile la tesi dell’unico killer. Pelosi ha avuto almeno un complice. Ne è certo.
Di “Johnny lo zingaro” sarebbe l’anello con l’aquila americana perso da Pelosi nel luogo del delitto. Anche il plantare numero 41 ritrovato nell’auto di Pasolini potrebbe essere del Mastini, che sta scontando tre ergastoli. Ne faceva uso dopo le ferite riportate in un conflitto a fuoco con la polizia.
Renzo Sansone, carabiniere che si era infiltrato negli ambienti in cui era maturato il delitto, è certo che la verità non sia mai venuta a galla: «La notte dell’omicidio con Pino Pelosi c’erano anche i fratelli Giuseppe e Franco Borsellino (poi morti di Aids, proprio come il coriglianese C. Z.) e Giuseppe Mastini, conosciuto come “Johnny lo zingaro”. Erano quattro ladruncoli cresciuti insieme e volevano solo derubare lo scrittore».
Nel corso degli anni tre collaboratori di giustizia, Pasquale Mercurio, killer di camorra, il trafficante internazionale di stupefacenti Valter Carapacchi e Damiano Fiori, coinvolto in un sequestro di persona, hanno rivelato confidenze raccolte in carcere secondo cui quella notte tra il primo e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia ci fosse anche Mastini. Mitomani pure loro? E mitomane pure il fotografo amico di Pasolini che tira in causa il coriglianese deceduto?
A distanza di quasi quarant’anni l’omicidio di Pier Paolo Pasolini  reclama ancora verità e giustizia.
Chi ha manovrato negli anni e continua ancora a manovrare un gruppo di balordi mandati ad eliminare un grande intellettuale scomodo al potere costituito?    {jcomments off}